Periodicamente tra stanche accuse si riaffaccia il tema della Way Assauto. A ricordarci la nostra impotenza di fronte a un mondo che non sappiamo leggere e ci lascia soli e senza difese. Ma dagli
Periodicamente tra stanche accuse si riaffaccia il tema della Way Assauto. A ricordarci la nostra impotenza di fronte a un mondo che non sappiamo leggere e ci lascia soli e senza difese. Ma dagli errori, a patto di non ricommetterli, si può ripartire. In questi giorni un gruppo di ricercatori sta mappando i social network per dare una graduatoria della felicità delle città in tempo reale e probabilmente ogni volta che si parla della fabbrica lindice di felicità di Asti scende bruscamente. Solo in questo modo si spiega limbarazzo che ancor oggi cè a parlare di Waya. «I cinesi hanno disatteso le aspettative – si è lasciata scappare qualche giorno fa Marta Parodi – e il nostro viaggio in Cina non deve esser visto come un peccato originale». Quasi un anno fa per primi abbiamo detto che la produzione difficilmente sarebbe ripartita e se per adesso nella cittadella resiste il laboratorio di prova il rischio che venga spostato nel modernissimo impianto cinese è reale. Anche perché chissà poi cosa avrebbe dovuto spingere i cinesi a fare unopera di filantropia.
«Il sindacato ha avuto le sue colpe – ammette Beppe Morabito – soprattutto quella di non aver avuto abbastanza coraggio». E intanto lammontare delle risorse pubbliche spese è stato enorme. Stiamo parlando di una quindicina di milioni complessivi malcontati. «Col senno di poi – interviene Massimo Fiorio – si potevano fare scelte diverse ma almeno abbiamo accompagnato qualcuno alla pensione». Il punto centrale è produrre per generare ricchezza. «A un certo momento della discussione – ha avuto modo di dire Charles Chip McClure amministratore delegato di Meritor – manifattura è diventato un termine sporco. Al culmine di questa visione sbagliata cè stata lipotesi di produrre prosperità solo con attività basate sui servizi. Un grande errore».
A inizio Anni Duemila la società sembrava aver messo sul tavolo una quindicina di miliardi per spostare gli impianti ma poi non se ne fece nulla. E il primo vero de profundis per lazienda non è successo ad Asti ma ben mille chilometri a sud quando il gruppo ArvinMeritor decise di vendere il plesso di Melfi a Magneti Marelli dando unindicazione chiarissima di disimpegno dal settore degli ammortizzatori. Segnale che ben pochi allinizio vollero cogliere. «Poi la scelta di escludere Montante lunico vero industriale dalla trattativa – chiude Giovanni Pensabene allora assessore – con pressioni allinterno dei lavoratori e del sindacato». Ma questa è unaltra storia.
Lodovico Pavese