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Economia

Konecta, il trasferimento a Torino fa tremare i dipendenti

Ieri l'appello dei sindacalisti al vescovo Marco Prastaro - Le storie dei dipendenti: "Sono part time e già pendolare, come potrei cambiare sede?"

Rsu Konecta dal vescovo Marco Prastaro

Serpeggia una profonda preoccupazione tra i 400 dipendenti astigiani di Konecta. Parliamo dell'azienda di via Guerra che si occupa di gestione clienti (call center), a rischio chiusura in vista dell'accorpamento dei siti di Asti, Ivrea e Torino nel capoluogo regionale dal giugno 2026, con conseguente trasferimento dei 400 addetti astigiani e dei 700 colleghi eporediesi. Una notizia, questa, emersa dalla presentazione del piano industriale lo scorso 5 dicembre in occasione dell'incontro on line con i sindacati di categoria Uilcom Uil, Fistel Cisl e Slc Cgil.

L'avvio della trattativa ad Ivrea

In attesa dell'avvio della trattativa con l'azienda, in programma ad Ivrea lunedì 22 dicembre, le Rsu dei tre sindacati hanno incontrato ieri (martedì) il vescovo Marco Prastaro. "Gli abbiamo chiesto di prestare attenzione alla nostra situazione", ha raccontato al termine dell'incontro la sindacalista Carmela Pagnotta (Slc Cgil).
Monsignor Prastaro ha dimostrato interesse. "Ricorderò il loro caso e la loro preoccupazione - anticipa - all'interno del messaggio di Natale che scrivo tutti gli anni per porgere gli auguri alla comunità astigiana e in un comunicato congiunto scritto con il vescovo di Ivrea che dirameremo domani".

La preoccupazione degli addetti

Intanto tra gli addetti crescono i timori per il futuro. Tra loro Stefania, che venerdì scorso ha deciso di aderire allo sciopero generale proclamato dalla Cgil contro la Legge di bilancio, dove ha portato all’attenzione anche la situazione della sede di via Guerra.
«Sono stata assunta - racconta - quando l’azienda era ancora una cooperativa, nel 1998. Vi lavoro da quasi 30 anni: ho due figli e ora mi ritrovo con il rischio concreto di restare senza lavoro, perché per me il trasferimento a Torino è impossibile. Sono sola e devo prendere una decisione che riguarda la mia vita e, soprattutto, il futuro dei miei figli.
Lavoro sei ore al giorno, con un part time su turni. Il trasferimento è un cambiamento che non posso sostenere né fisicamente né economicamente.
In questa azienda siamo tante dipendenti con famiglia che si trovano nella stessa situazione. È una scelta crudele, che arriva senza considerazione per le nostre realtà quotidiane».

La difficoltà di chi è già pendolare

Anna, dipendente KOnecta dal 2004

Anche Anna, dipendente da numerosi anni, esprime preoccupazione: «Lavoro in Konecta (ex Comdata) dal 2004 e vivo in provincia di Alessandria: già pendolare tra le due città, per me sarebbe impensabile arrivare fino a Torino. Sono una delle pochissime fortunate ad avere un contratto full time da otto ore. La maggior parte dei colleghi ha contratti part time, con stipendi bassi. Con quei compensi è difficile gestire i figli, seguire genitori con patologie, affrontare due ore di viaggio all’andata e altrettante al ritorno».
«L’azienda ha sempre sottolineato di essere una multinazionale riconosciuta a livello mondiale - continua - e invece oggi arriva la “doccia gelata”: la decisione di concentrare tutto su Torino per ridurre i costi e la chiusura di diversi siti. Una vera e propria strage occupazionale, il tutto senza alcun preavviso».

Se il contratto è part time

A fare i calcoli sui costi del viaggio legato all’eventuale trasferimento anche Andrea, 54 anni, dipendente dal 2006. «Ho un contratto part time da 6 ore per cinque giorni lavorativi. Viaggiare fino a Torino comporterebbe un costo troppo elevato, anche perché la sede attuale si trova in una zona decisamente scomoda per chi proviene da Asti, soprattutto perché noi siamo organizzati su più turni, per cui gli orari che svolgiamo non sempre si adattano a quelli dei treni. A questo riguardo, poi, mi domando: la sede rimarrà la stessa o verrà cambiata, dato che potenzialmente dovrebbe accogliere 1.100 dipendenti provenienti da Asti e Ivrea?».
Sulla stessa linea Claudia Fassone, dipendente dal 2006 e componente del direttivo Uilcom Uil.
«La situazione - evidenzia - è dominata dall’incertezza. Noi ci stiamo confrontando su dubbi ed eventualità (capienza della sede torinese, possibilità di fare uso massiccio dello smart working), ma di fatto l’azienda tace. Io posso ancora considerarmi “fortunata” perché ho un contratto da 40 ore settimanali, in quanto negli ultimi anni la proposta più diffusa è stata quella realtiva al part time. Siamo sfiduciati».

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