Stefano Goria: da Villafranca al Sogno Azzurro sulle due ruote
Il campione di mountain bike, dall'infanzia sulle due ruote alla Nazionale: allenamenti rigorosi, scelte tecniche sulle bici e il valore del lavoro di squadra nelle marathon, raccontati alla Pinta di Sport del FuoriLuogo ad Asti
Un asso delle due ruote si racconta. In questa intervista, l'atleta Stefano Goria campione di mountain bike in forza alla Nazionale e alla Scott Racing Team, ripercorre la sua evoluzione agonistica nel mondo della mountain bike, sottolineando il passaggio cruciale dal divertimento giovanile al professionismo nella disciplina marathon. Il ciclista descrive con precisione i rigorosi metodi di allenamento, la gestione tecnica delle diverse tipologie di biciclette e l'importanza del lavoro di squadra durante le competizioni internazionali più impegnative.La sua esperienza, i suoi sogni, raccolti durante la "Pinta di Sport" del FuoriLuogo ad Asti.
Stefano, partiamo dalle origini. Com'è nata questa passione? Eri uno di quei bambini che non volevano mai scendere dalla sella?
In realtà ho iniziato come molti, provando un po' di tutto: ho giocato anche a calcio, come la maggior parte dei ragazzi, nella Pro Villafranca, ma ho capito che non era il mio sport. La scintilla per le due ruote è scoccata quasi per caso. Poi, in quinta elementare, ho scoperto una scuola di mountain bike a Montaldo d'Alba; l'istruttore era un collega di mio papà. Da quando sono salito su quella bici, non sono più sceso. Quello che era iniziato come un gioco e un divertimento si è trasformato, anno dopo anno, in un impegno agonistico sempre più serio.
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Molti si chiedono perché un talento come il tuo non abbia scelto il ciclismo su strada, che spesso garantisce più visibilità. Hai mai avuto dubbi?
È una domanda che mi sono posto spesso.
Ho provato una gara su strada da juniores, ma l'ambiente della mountain bike mi ha sempre conquistato di più: quando sei piccolo è uno spazio che concede più divertimento e ha un’atmosfera meno esasperata e più familiare. Certo, oggi sono un professionista, ma sono felice della scelta fatta. Chissà, magari su strada avrei smesso perché non mi trovavo bene.
Oggi corri per un team di alto livello e vesti la maglia azzurra. Quanto è cambiato il tuo modo di vivere lo sport?
Moltissimo. Questo è il primo anno in cui faccio parte di una squadra che mi garantisce un supporto tecnico ai massimi livelli.
Prima andavo alle gare e i miei genitori mi aiutavano con le borracce; ora ho un team manager, un meccanico, un massaggiatore, un nutrizionista e vari coach. La mia settimana tipo prevede tra le 20 e le 32 ore di allenamento effettivo, alternando palestra, bici da strada e mountain bike. È un lavoro di costanza: i risultati non arrivano solo col talento, ma "martellando" giorno dopo giorno.
Entriamo nel tecnico: la tua specialità è la Marathon. Spiegaci di cosa si tratta...
Sono gare di resistenza pura. Una Marathon, da regolamento, supera sempre i 60 km, ma si può arrivare a distanze estreme.
Quest'anno, ad esempio, il Mondiale era di 120 km con oltre 5000 metri di dislivello. È stata una delle gare più dure degli ultimi anni, vinta in 6 ore; io ci ho messo 6 ore e 20 minuti.
In queste gare così dure, quanto conta il mezzo? Sei uno di quegli atleti "maniacali" con l'attrezzatura?
In mountain bike la precisione è tutto. Scegliamo tra una bici biammortizzata (full), più confortevole e veloce nei tratti tecnici, e una più leggera (front), che pesa circa un chilo in meno ed è ideale per le salite ripide.
Siamo attentissimi ai dettagli: gonfio le gomme a pressioni specifiche, come 1.2 bar, e c'è chi arriva a chiedere 1.27! In discesa tocchiamo anche i 70 km/h sullo sterrato; bisogna essere concentratissimi perché il rischio di cadere c'è sempre.
In Alta Valtellina ho attaccato a metà gara e ho fatto 40 km da solo. Tagliare quel traguardo e poter dedicare il successo a mio nonno è stata un'emozione indescrivibile
Se chiudi gli occhi e pensi alla stagione 2025, qual è il momento che ti porti nel cuore?
Senza dubbio la vittoria in Alta Valtellina.
È stata una settimana difficilissima perché era appena mancato mio nonno; ero tornato dall'altura e non sapevo nemmeno se correre. La mia famiglia mi ha spinto a farlo, dicendomi di dedicargli l'eventuale vittoria. È stata una gara epica: 100 km sotto la pioggia con 5-6 gradi, con atleti che si ritiravano per ipotermia. Ho attaccato a metà gara e ho fatto 40 km da solo. Tagliare quel traguardo e poter dedicare il successo a mio nonno è stata un'emozione indescrivibile.
Qual è il tuo prossimo obiettivo? In cosa senti di dover ancora migliorare?
Non sono uno scalatore puro; peso 10-15 kg più di alcuni miei avversari, quindi sulle salite lunghissime soffro un po'.
Sono più portato per i percorsi esplosivi. L'obiettivo è continuare a crescere con costanza, imparando dai grandi campioni che ho conosciuto in Nazionale, come Porro o Rabensteiner.
Per capire lo sforzo di Stefano, potremmo paragonare la sua specialità, la Marathon, a una partita a scacchi giocata durante una maratona in alta quota: non basta avere i muscoli per correre, bisogna avere la lucidità millimetrica per scegliere dove mettere le ruote su ogni singola pietra mentre il cuore batte a mille e il freddo cerca di fermarti le gambe.