Alessio Monzeglio, l’addio al tambass del campionissimo
La classe non svanisce mai, ma se l’integrità fisica comincia a venire meno s’impone una scelta: accettare di diventare uno dei tanti o uscire di scena quando si ha ancora la possibilità di strappare al pubblico l’abbraccio di un applauso. Fin da quando ha iniziato a impugnare un tamburello, Alessio Monzeglio non è mai stato uno qualsiasi. Ha deciso di non esserlo fino in fondo: un paio di settimane fa ha annunciato che il 2019 è stato il suo ultimo anno di attività agonistica. A 43 anni non sarebbe ancora al capolinea, ma i guai fisici hanno reso troppo doloroso andare avanti.
Per martedì prossimo, 27 agosto, ha organizzato una partita d’addio al “Cesare Porro” di Vignale, lo sferisterio del suo paese. In campo ci saranno il Grazzano campione d’Italia e tanti ex compagni che hanno accolto l’invito di Monzeglioper giocare insieme ancora una partita.
Come è maturata la tua decisione di lasciare il tamburello giocato?
Ci pensavo ormai da un paio d’anni, finita la stagione 2017. Da allora il fisico ha iniziato a scricchiolare e non riesco più a rendere come vorrei. La schiena e un tallone ora mi fanno soffrire parecchio.
Martedì sera saluterai il pubblico e alcuni tuoi compagni: che serata sarà e chi ha raccolto il tuo invito?
Sono tanti: Medesani, i fratelli Facchetti, Baggio, Tirone, Derada per fare solo alcuni nomi. Giocheranno a turno insieme a me e cercheremo di dare un po’ di spettacolo con il Grazzano. L’ingresso a offerta andrà in beneficenza al reparto dell’ospedale pediatrico in Kenya intitolato alla giovane giocatrice Alice Magnani.
Quando hai annunciato il ritiro hai scritto di aver raggiunto gli obiettivi che ti eri prefissato: quali erano?
Soprattutto essere conosciuto e ricordato come giocatore di tamburello. I tre scudetti conquistati in Serie A sono stati una grande soddisfazione. Aver vinto anche a muro e nella breve esperienza che ho avuto a pallapugno mi ha completato.
Non sei d’accordo quindi con chi dice che Monzeglio avrebbe potuto vincere di più?
Forse è vero, ma in fondo non mi interessava conquistaredecine di scudetti. Non ho sempre avuto la possibilità di giocare in squadre vincenti. Sono comunque soddisfatto di aver incrociato tanti giovani che hanno poi lasciato un segno.
Qual è la soddisfazione più grande che hai provato su un campo da tamburello?
Aver chiuso l’ultimo quindici della finale di Serie A nel 2015: un lungolinea vincente.
Da lì sei poi tornato nel Campionato a Muro dopo quasivent’anni: come lo hai ritrovato?
Le società più o meno sono sempre quelle. Credo che i punteggi abbiano livellato e reso più incerto il torneo, ci sono dei giovani molto interessanti.
Secondo te nel Monferrato è impossibile raggiungere un equilibrio tra attività a libero e a muro? I periodi buoni dell’uno saranno sempre anni difficili per l’altro?
Sono due mondi diversi, destinati forse a restare separati. Alcuni giocatori della Serie A sono passati a Muro negli ultimi anni credo soprattutto per un discorso di comodità, visto che diversamente sono costretti a viaggiare per tutto l’anno.
Dal prossimo anno come impegnerai i fine settimana?
Mi piacerebbe stare vicino a mio figlio Jacopo di 10 anni che ha iniziato a correre in mountain bike. Per seguirlo dovrò comunque allenarmi e cercare di restare in forma.