Ora che la batosta è arrivata chissà se avremo il coraggio di voltare pagina, lavorare su un’identità precisa rinunciando alle cariatidi dirigenziali
La Nazionale non andrà in Russia. Notizia che ha coinvolto emotivamente l’Italia intera, con tanto di battibecchi politici di cui onestamente tutti noi avremmo fatto a meno. Ora che la batosta è arrivata chissà se avremo il coraggio di voltare pagina, lavorare su un’identità precisa rinunciando alle cariatidi dirigenziali che da troppo tempo fanno parte del “comun pensiero italico”: fa male non arrivare alla fase finale del Mondiale dopo 60 anni, ma i mali azzurri non sono certo frutto di casualità. Dopo il successo in Germania nel 2006 la nostra selezione si è progressivamente spenta, con unica eccezione il “picco” europeo in cui Conte e i senatori seppero cementare un gruppo capace di lottare (e vincere) contro squadre più attrezzate.
Chi si appella alla sfortuna contro la Svezia non è obiettivo: gli avversari erano modesti e li abbiamo affrontati su un terreno a loro congeniale, giocando con timore all’andata e puntando sui palloni alti nel ritorno, rinunciando a calciatori brevilinei come Insigne. Ventura è parso in apnea, inadatto a certi palcoscenici e sconfitto dalla sua stessa presunzione, la stessa più volte manifestata da Tavecchio, che ha parlato di Apocalisse in caso di sconfitta e ora cerca di restare ben saldo sulla sua seggiola. La sconfitta sportiva ci sta e dev’essere lo stimolo per cambiare e migliorare, ciò che è inaccettabile è la mancanza di assunzione di responsabilità di fronte a tali debacle. Abete e Prandelli persero malamente ai Mondiali ed ebbero il coraggio di dimettersi, Tavecchio e Ventura, dribblando con dubbio gusto anche le interviste, no. Buffon, a fine gara, ci ha messo la faccia.
Tutto non si risolve in un attimo, è chiaro, prima di tutto bisogna investire su chi cresce i giovani calciatori, sulle loro competenze e specificità. E bisogna anche investire su una cultura sportiva che manca, non solo in ambito dirigenziale ma anche nel tifo: i fischi all’inno nazionale svedese sono, ben più del risultato sul campo, una grande sconfitta.
Davide Chicarella