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Sport

Manuel Beltrami, il Maradona del tamburello

Il formidabile fondocampista trentino ha scritto la storia con il Callianetto del patron Fassio

Parlare di tamburello con Manuel Beltrami quando tutto lo sport è fermo fa bene al cuore. Dopo aver trascorso quasi diciotto anni ad Asti, ora abita a pochi chilometri da Solferino, in provincia di Mantova. Lì si allena da solo alla sera in questi giorni senza tamburello, quando la preoccupazione per la situazione sanitaria italiana è più forte di tutto: «Negli ultimi giorni le cose sono cambiate molto, la gente non esce, cominciano ad arrivare le prime notizie di ammalati nei paesi vicini». Mentre gli altri sport si interrompono, la stagione di tamburello non è nemmeno partita. Ripercorrere la storia del campione simbolo degli anni Duemila di uno sport antico come il tamburello è un modo piacevole di mettere da parte per un po’ l’ansia e l’incertezza di questi giorni. Tornano alla mente ricordi sopiti degli anni di Callianetto, storie note si illuminano di una luce nuova.
Gli astigiani hanno scoperto Beltrami quando aveva 18 anni, Supercoppa 1996 a Montechiaro. Ma Manuel quando ha capito di essere arrivato ai massimi livelli?
«Quella partita ha segnato qualcosa di nuovo anche per me. Ero al secondo anno di A, con i miei compagni del Tuenno affrontavamo il Castelferro di Bonanate, Petroselli e Dellavalle, la squadra più forte. Partita sospesa 12-12, ripresa il giorno dopo e vinta da noi. Mi nominarono miglior giocatore e qualcuno fece una battuta a Beppe per il fatto che mi avessero premiato sul campo del suo paese. Prese la parola per farmi i complimenti. Ricevere il plauso di un campione e del pubblico astigiano ha avuto un significato speciale».
Perché?
«Per me nel tamburello l’astigiano equivale al Brasile nel calcio. Da trentino l’ho sempre visto come la culla della tecnica. Negli anni che ho poi trascorso a Callianetto con Andrea Petroselli, Riccardo Dellavalle e Aristide Cassullo ho imparato come il tamburello possa essere un compagno di vita».
A Callianetto hai stretto un legame speciale con il presidente Alberto Fassio, come vi eravate conosciuti?
«È stato a Sabbionara, in Trentino, dopo una partita contro la squadra di mio padre. Callianetto faceva ancora la A2 e già lì Alberto mi chiese di venire a giocare ad Asti. Restò contrariato dalla mia risposta negativa, ma due anni dopo me lo propose di nuovo e dissi di sì. Doveva però fare la squadra che dicevo io e gli posi come condizione di giocare con Petroselli e Dellavalle. Mi accontentò e così nacque la squadra più forte in cui abbia militato».

Luca Parena

Articolo completo sull’edizione di venerdì 13 marzo de La Nuova Provincia

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