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Questa corsa s’ha o non s’ha da fare?

In questo periodo di emergenza sanitaria si discute parecchio di podismo: è giusto fermare il jogging? Le versioni “pro” e “contro” dei nostri giornalisti

Questa corsa s’ha o non s’ha da fare?

L’emergenza COVID-19 impone il rispetto di regole precise, compreso il divieto di effettuare allenamenti, nello specifico corse, all’aria aperta. Giusto o sbagliato? I nostri giornalisti, Michele Anselmo e Riccardo Santagati, sono di opinioni opposte. Ai nostri lettori la possibilità di giudicare di conseguenza. La sensazione di fondo è che per risolvere un “rebus” pericoloso quale l’allarme virus, una delle tragedie più grandi, se non la più grande, degli ultimi settant’anni, servano regole ferree e il rispetto di esse. Noi italiani siamo capaci di rispettarle e soprattutto di utilizzare il buon senso? Perché in fondo tutto parte da questa semplice constatazione: una persona che fa jogging in solitaria certamente non crea disturbo ad altri e nemmeno corre rischi di contagio, ma se si facesse male? Se decidessero di darsi al running anche i “podisti per caso”? Argomento spinoso questo, anche se la deduzione più logica è che di fronte alle morti di tante persone tutto passa in secondo piano.

https://www.facebook.com/poliziadistato.it/videos/626504481527436/

Pro running

Correre al tempo del Coronavirus: un po’ come fare una rapina a mano armata. Il “runner” è diventato in questi giorni l’untore 2.0. Nei momenti bui,e questo per il nostro paese è il momento più difficile dal dopoguerra, la ricerca del nemico, del “diverso” è sempre stata una pratica particolarmente amata nel Belpaese. L’accusa mossa a chi corre di aiutare la diffusione del virus appare subito infondata, tant’è che le restrizione sono arrivate solo con gli ultimi decreti e ordinanze, sull’ondata popolare di sdegno (d’altronde siamo uno dei paesi più sedentari del mondo), mentre fino a pochi giorni fa, su esplicita richiesta del Ministero della Salute, era permesso, rispettando la regola, a tutti ormai ben nota, del metro di distanza e del divieto di assembramento. Per la verità chi corre è da sempre visto come uno stravagante. Ma chi corre, chi sempre lo ha fatto e non lo fa solo in questi giorni, ha una forte disciplina, sa fare sacrifici, rispettare le regole, spesso è un solitario per natura. Capisce bene la particolarità di questo momento e tutti gli accorgimenti per poterlo fare in sicurezza. Cade così un’altra delle leggende metropolitane che si sono lette in questi giorni: chi corre potrebbe in seguito a un incidente, togliere un prezioso posto in ospedale. Se ad una prima lettura questo potrebbe anche sembrare vero, gli incidenti derivanti dal correre sono una percentuale infinitesimale rispetto a quelli domestici; in oltre 30 anni di pratica nella corsa mai mi è capitato di dover ricorrere all’intervento di personale medico a seguito di un allenamento (mi è capitato in gara), poi certamente la fatalità può sempre capitare. L’accanimento verso chi corre è un’arma di distrazione di massa, una caccia alle streghe per nascondere responsabilità reali sulla diffusione del virus con fabbriche aperte, call center aperti, uffici aperti e sulle scellerate scelte trasversali della classe politica, autrice di “riforme” che hanno portato a tagliare reparti e posti-letto, a indebolire la sanità pubblica a favore di quella privata. Nella realtà delle cose, come più volte anche chiarito dai medici in questo periodo, correre fa bene: alza le difese immunitarie, aiuta a produrre serotonina e endorfine in un momento di forte stress (i casi di TSO negli ultimi giorni in Italia sono pericolosamente aumentati). Chi corre, oltre che generoso (ad Asti i sodalizi hanno da fatto donazioni all’Ospedale), è anche ligio al dovere e saprà rispettare le norme per il bene di tutti.

Contro running

Cari runner, professionisti della corsa o semplici appassionati, giovani o attempati, di destra o di sinistra, del nord o del sud, di città o di campagna: fermatevi! E’ ora di restare a casa, di rimandare le vostre corsette. E’ tempo di considerare la situazione con tutta la serietà del caso e smetterla di cercare ogni espediente burocratico per continuare a correre facendo finta che l’emergenza sanitaria non vi tocchi e non vi interessi da vicino. Basta disquisire sui social, dove c’è ancora chi bercia e si lamenta delle “costrizioni” che lo obbligano a rinunciare alla vita di prima. Cari runner, non è una vessazione contro la categoria quella che vi sta impedendo di correre nei parchi, nei giardini, di limitare l’attività motoria “in prossimità della vostra abitazione”.

È una misura precauzionale che serve a voi quanto agli altri nel tentativo di arginare l’epidemia e, allo stesso tempo, evitare ogni possibile occasione di sovraccarico del sistema sanitario già in difficoltà. Cari runner, non siete gli untori di questa nuova peste, non siete i nemici del popolo cui additare colpe per passare la giornata. Però, davanti ai numeri del bollettino sanitario diffuso ogni giorno dalla protezione civile, con migliaia di morti e contagiati, non potete sostenere che la vostra corsetta, diritto sacrosanto in tempi ordinari, sia una questione di vita o di morte. E’ difficile comprendere che mentre l’Italia vive la più grave crisi dal dopoguerra, mentre i nuovi soldati del fronte, i medici e gli infermieri, combattono (anche con la vita) per salvare più persone possibili e portarci al di là della tempesta, la vostra prima preoccupazione sia disquisire su cosa si intenda per “prossimità” e quindi se sia lecito correre fino a 200, 400 o 600 metri da casa. Cari runner, non siete i cattivi della storia che tutti insieme stiamo scrivendo giorno dopo giorno, ma non tirateci per la giacchetta: fermatevi! Restate a casa e fatelo non perché ve lo chiede un DPCM, un’ordinanza e, volendo, anche l’art. 16 della Costituzione (nel quale è scritto che “ogni cittadino può circolare in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”). Restate a casa perché questo è il vostro sacrificio nell’interesse della comunità

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