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Sport

Sergio Tabbia, lo scudetto Orange sfumato, la Coppa Italia conquistata e l’avventura in Libia

Ha trascinato gli astigiani dalla C2 alla A, vinto la C con la squadra dei “figli d’arte” e vissuto l’esperienza all’Al Ittihad dove in squadra giocava l’ex Perugia Saadi Gheddafi

Sergio Tabbia, lo scudetto Orange sfumato, la Coppa Italia conquistata e l’avventura in Libia

Una vita da romanzo, un unico comun denominatore, l’amore per lo sport. Nomini Sergio Tabbia e pensi simultaneamente al calcio e al futsal, i suoi grandi amori. Una carriera da atleta come estremo difensore di buone doti, con anche qualche presenza in C2, un presente da tecnico di calcio a 5 e preparatore dei portieri. In bacheca diversi trionfi nazionali e nel cuore la soddisfazione di aver aiutato a emergere nel panorama internazionale estremi difensori del calibro di Sorrentino e Marchetti.

Il calcio a 5

Se raccontiamo la vita di Sergio nel futsal, viene naturale partire dal presente, l’Avis Isola, «una società per bene, con un presidente come Fulvio Paracchino che mi ricorda Claudio Giovannone per la serietà con cui si comporta – racconta Tabbia – Siamo riusciti a salire dalla Serie D alla “B” sostanzialmente a costo zero, lavoro in un club che fa sociale, che sta sviluppando un progetto femminile». Per raccontare il legame indissolubile tra l’ex tecnico dell’Orange Asti e il futsal il primo nome che emerge è quello di Jesus Velasco da Toledo, maestro per molti, compreso l’astigiano: «Ai tempi allenavo in granata, e dovetti scegliere di dedicarmi intensamente al futsal per far parte di un progetto prestigioso come quello del Torino C5. Conobbi Velasco grazie a Beppe Zanelli, e con Jesus nacque un’avventura straordinaria. Guidavo l’Under 21 di Granata e Cirillo e vincemmo lo scudetto. Con la prima squadra, dove ero il vice dell’iberico, conquistammo il tricolore prima che il club decidesse di chiudere. Battemmo in finale di fronte a 5500 persone al Pala Ruffini la BNL Roma di coach Gialli, che aveva in squadra i fratelli Roma, Mannino, Famà. La nostra era la compagine di Lorente, dei brasiliani Padeu Veronesi e Dadà Franzoni, ma anche delle istituzioni Quattrini e Rubei, oltre che di Visconti, ora mister del Nizza, e Vassallo». Cos’ha più degli alti coach il mitico Velasco? «Ha stravolto la nostra mentalità – ricorda Sergio – Arrivò a novembre al Torino C5 e smettemmo di marcare individualmente. Lui faceva marcare “pezzi di campo”. Era la Serie A delle nove squadre romane, battemmo anche la Roma RCB di Colini. Jesus nella didattica è il top». Dopo il Torino Calcio a 5, un’avventura particolare…«Ho vinto la Serie C con il Viasat dei figli d’arte Scirea, Cuccureddu, Lippi, Sala, battendo il Gabetto di Milosevic, con cui l’anno dopo ho vinto la Coppa Italia nazionale di C che valeva la promozione diretta». Già, Sinisa Milosevic, amico speciale di Sergio e “tramite” della favolosa cavalcata orange, fino alla Serie A… «L’Orange Futsal aveva appena vinto la D, Nino segnato 70 gol ed era stato il grande acquisto del club fondato da Giovannone, Penna e Lombardi. Parlai proprio con Maurizio, imbeccato da Milosevic, della possibilità di allenare i nero-arancio, e la cosa andò in porto. Vincemmo la C2 con Polimeni e Durante quali volti nuovi, passammo da giocare al Giobert a utilizzare il Pala San Quirico. L’anno seguente conquistammo anche la “C1”, con Licciardi. In Serie B fu più tosta, arrivarono Ramon, Honda, e gli argentini Farina e Patanè». Per raggiungere l’A2 al fotofinish servì un innesto di qualità… «Vero, dopo un pareggio scomodo ricordo che mi incontrai con Giovannone, a mio avviso serviva un portiere e arrivò l’argentino Poggi. Claudio mi disse “ora non hai più scuse, devi vincere” e le cose andarono bene. Vincemmo molti match di fila e salimmo in A2». «Nel secondo campionato nazionale accogliemmo Scarparo, Alves e Bormolini, oltre a un grande acquisto, Gabriel Lima. Era un torneo tosto, Verona e Vicenza erano forti, Spoleto aveva come coach Cafù, che ha regalato lo scudetto ad Asti grazie a una squadra forse non di qualità paritaria a quelle degli anni di Polido e della mia ultima stagione, ma di carattere e con un portiere strepitoso come Espindola. Eravamo quinti dopo l’andata, nel ritorno cambiammo marcia». In “A” Tabbia conquistò la Coppa Italia: «La squadra progressivamente si è sempre rinforzata. La Coppa Italia è il mio più bel successo perchè inaspettato, contro la Luparense di Fortino, Vampeta, Merlim, Honorio e Kleber. Vincemmo 4-3 con rete decisiva di Bessa dopo una magìa di Ramon». Il grande cruccio della carriera è certamente lo scudetto mancato nell’ultimo anno in nero-arancio… «Vincemmo 20 gare su 26 senza mai perdere. La squadra era formidabile, avevamo 5 tribune ogni match. La Marca ci beffò in semifinale. Continuo a chiedermi se aver scritto quel record in stagione regolare non ci abbia condizionati nei playoff. Alcuni elementi non erano al top e gli episodi, unitamente al carattere superiore forse al nostro di un avversario di qualità, con i vari Bertoni, Nora e Wilhelm, ci condannarono». Che dire del futsal attuale? «Continuano a giocare i veterani, la situazione non è buona. Occorre dar spazio agli italiani nelle categorie inferiori, in “A” è giusto privilegiare la qualità e lo spettacolo, senza limiti. Un mentore come Velasco, attualmente corteggiato dal Paris di Ricardinho, sarebbe fondamentale per supportare la Federazione nel processo di crescita». Il quintetto dei sogni? «Kiko tra i pali, un grande uomo, Corsini ultimo, Cavinato e Ramon laterali, Patias pivot».

Calcio, grande amore

Nel cuore di Tabbia occupa un grande spazio anche l’amore per il calcio: portiere prima, preparatore di qualità dopo. Una grande avventura al Torino FC, in una Primavera stellare di Camolese, che vantava in rosa Quagliarella, Pinga e proprio, quale crossover ideale del nostro racconto, Andrea Licciardi. Tra le pagine speciali dell’avventura calcistica c’è sicuramente la chiamata dalla Libia…«Vero, un’esperienza di un anno nata grazie a Claudio Mossio. Guidavo a futsal i figli d’arte, un giorno ebbi un confronto acceso con Davide Lippi e lo mandai via dalla sessione di allenamento, il figlio di Cuccureddu lo raccontò al padre e lui decise di propormi di seguirlo in Libia, perchè gli serviva uno staff di carattere». «Esperienza particolare, non è facile adattarsi al loro stile di vita, ma con l’Al Ittihad vincemmo il campionato e perdemmo nei quarti della Coppa d’Africa contro l’Agadir, quando conobbi il Re del Marocco». In Libia vide di sfuggita Moggi e Berlusconi, ma allenò anche il figlio di Gheddafi, Saadi…

Davide Chicarella

Articolo completo sull’ediione di martedì 31 marzo, consultabile anche in versione digitale (fino al 3 aprile possibile abbonarsi gratuitamente per due mesi all’edizione on line)

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