Cerca
Close this search box.
butt e rivera sito
Attualità
Ricerca

Canelli, dall’enologo-neuroscienziato una speranza per i malati di Alzheimer

Andrea Domenico Rivera lavora ad una ricerca che punta a ritardare l’invecchiamento della “materia bianca” del nostro cervello

E’ più di una speranza per chi soffre di malattie neurodegenerative, come sclerosi multipla e Alzheimer: ritardare l’invecchiamento del cervello “riparando” la mielina, sorta di guaina che ricopre gli assoni, i “cavi conduttori” dell’organo cerebrale. Una scoperta per molti versi rivoluzionaria che Andrea Domenico Rivera (nella foto di copertina con il professor Arthur Butt durante una visita a Canelli), dal suo laboratorio all’Università di Padova, da giorni spiega con paziente giovialità a giornalisti e ricercatori di tutto il mondo. Lo studio sul processo di logoramento cognitivo dell’encefalo pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Aging Cell in breve ha fatto il giro della comunità internazionale. Canellese, 38 anni, da agosto dello scorso anno Rivera lavora al dipartimento di anatomia umana dell’ateneo padovano in stretto contatto con il professor Raffaele De Caro e i colleghi dottori Andrea Porzionato e Veronica Macchi. La sua formazione è maturata a Portsmouth, in Gran Bretagna, dove per anni ha supportato il professor Arthur Butt, autorità nello studio della materia bianca. Andrea Rivera è stato uno dei “Talenti” che Canelli ha festeggiato nel 2018. Proprio durante l’evento il ricercatore, neuroscienziato, parlò dello studio che stava conducendo, anticipando alcuni tratti della ricerca.

Da quel giorno di passi ne avete fatti.

Sono stati anni intensi che ci hanno permesso di arrivare a gettare le basi per affrontare questo tema in modo nuovo e con concretezza. Studio condotto dall’Università di Portsmouth dove lavoravo con il professor Butt, Francesca Pieropan e Irene Chacon de la Rocha, l’Università di Padova dove mi sono trasferito lo scorso anno grazie al premio internazionale MSCA Seal of Excellence @Unipd che ho vinto, Kasum Azim dell’Università di Dusseldorf, Maria Pia Abbracchio e Davide Lecca dell’Università di Milano. Un gran bel team.

In che cosa consiste la vostra scoperta?

Siamo partiti dalla materia bianca, meno conosciuta della materia grigia, ma che contiene gli assoni, i “cavi elettrici” del cervello ricoperti dalla mielina che ha il compito di facilitare la trasmissione dei dati. La mielina è prodotta da cellule cerebrali chiamate oligodendrociti: la mancanza, o il suo deterioramento, ha effetti devastanti sul cervello e l’insorgere delle malattie neurodegenerative.

Quali sono stati i passaggi essenziali dello studio?

Abbiamo lavorato sul cervello di due topi, uno giovane e l’altro anziano. Ed abbiamo scoperto che la perdita del GPR17, un gene prodotto dalle cellule staminali, è la causa più importante dell’invecchiamento di questo organo. Il deterioramento del GPR17 riduce la capacità degli oligodendrociti precursori di ripristinare la materia bianca persa. Su questo ci siamo concentrati, ovvero comprendere questo cammino degenerativo permettendo alla mielina di riformarsi. In una parola, al cervello di mantenersi ancora giovane.

 

Intervista completa sul numero di martedì 16 marzo de La Nuova Provincia.

Condividi:

Facebook
Twitter
WhatsApp

Le principali notizie di Asti e provincia direttamente su WhatsApp. Iscriviti al canale gratuito de La Nuova Provincia cliccando sul seguente link

Edizione digitale