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Cronaca

Asti, al processo Barbarossa parla il pentito che trasportò bombe per un attentato

E fa pesanti accuse nei confronti di due imputati

Nell’udienza di questa mattina

Due importanti testimonianze hanno caratterizzato la ripresa delle udienze del processo Barbarossa che, pur essendo di totale competenza astigiana (dai carabinieri del Reparto Operativo che vi indagarono per anni al collegio di giudici, presieduto dal dottor Alberto Giannone, chiamato a dettare sentenza) si è però tenuto nell’aula bunker delle Vallette di Torino perchè dotata di un impianto che consente la partecipazione in videoconferenza e il distanziamento sociale imposto dalle norme anticontagio.

Era un “corriere” dell’organizzazione

La prima è quella dell’ex padrino pentito Domenico Agresta (vai all’articolo) mentre l’altra è stata quella di Ignazio Zito, ufficialmente titolare di un bar a Carmagnola ma di fatto “corriere” della ‘ndrangheta che lo utilizzava per trasportare, anche solo per piccoli tratti, armi, bombe, droga   in grande quantità. E, all’occorrenza, faceva anche da guardaspalle al suo diretto superiore durante le riunioni fra capi.

Una vita fra reati e pentimenti

Questo ha raccontato in aula ammettendo anche di aver avuto una vita piuttosto burrascosa: «Ho fatto parte di Cosa Nostra fino al 1996 poi sono diventato collaboratore di giustizia fino al 2012. Terminato il periodo di protezione ho cercato di rifarmi una vita ma non ci sono riuscito così nel 2014 ho ricominciato a delinquere per guadagnare e, nel gennaio del 2018 mi sono nuovamente consegnato alla giustizia».

«Non volevo essere coinvolto in un attentato»

Perchè un secondo “pentimento”?

«Perchè ero stato incaricato di andare a prendere sei bombe a mano da Rocco Zangrà ad Alba (considerato uno dei massimi referenti della ‘ndrangheta in Piemonte) e di portarle ad un altro affiliato che le seppellì in giardino. Mi dissero che sarebbero state usate contro una persona importante che stava dando “disturbo” all’organizzazione. E io non volevo essere coinvolto in un attentato, così mi sono consegnato di nuovo alla giustizia».

La sua deposizione nel processo Barbarossa, oltre che nei confronti della posizione di Rocco Zangrà, era indirizzata, così come ricostruito dall’impianto accusatorio condotto dal pm Cappelli, verso Franco Marino, un altro degli imputati.

Ha parlato del “pupillo” di Zangrà

In una lunga e a tratti sofferta deposizione, zeppa di dichiarazioni (e divagazioni) non sempre chiarissime, ha riconosciuto in Marino quel Franco “il fruttivendolo” che ricopriva il ruolo di braccio destro di Zangrà. Un uomo di assoluta fiducia al punto che Zangrà, quando sospettava di essere intercettato o pedinato dai carabinieri, lo mandava al posto suo alle riunioni importanti dove si decidevano le attività illecite dell’organizzazione.

Tutte le attività illegali dell’organizzazione

Attività che, secondo quanto testimoniato da Zito, andavano dal traffico di droga al commercio di armi, dalle estorsioni agli appalti pilotati passando per la gestione delle slot e il mercato di soldi falsi e documenti contraffatti, soprattutto patenti, passaporti e permessi di soggiorno per stranieri clandestini.

Marino, sempre secondo i ricordi di Zito, era il “pupillo” di Zangrà e come Zangrà godeva di rispetto. Lo stesso Zito aveva assunto nel suo bar a Carmagnola la nipote di Marino.

Accuse respinte da Marino

Deposizione, quella di Zito, contrastata dal fuoco di fila di domande e contestazioni avanzate dall’avvocato Montemagno, difensore di Marino che seguiva il processo in videoconferenza dal carcere di Alessandria e comunicava con il suo legale attraverso una linea telefonica privata.

Il 14 luglio ultimi testi del pm

Prossima udienza, sempre in aula bunker, il 30 giugno per sentire gli ultimi 2 testimoni chiamati dal pm. L’udienza successiva, quella del 14 luglio, vedrà sfilare i primi imputati che intendono sottoporsi ad interrogatorio in aula.

 

 

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