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Cronaca
Giustizia senza giudici

Mancano giudici, l’appello sul fallimento Waya slitta ancora a marzo

A 15 anni dalla dichiarazione fallimentare e ad 8 anni dalla condanna di primo grado, ancora non si riesce a chiudere la vicenda processuale che vede 200 operai come parti civili

Un processo senza fine: 15 anni fa la dichiarazione di fallimento, 8 anni fa la sentenza di primo grado al tribunale di Asti e quest’anno il processo in Corte d’Appello. Che però si avvicina a grandi passi alla prescrizione visto che la Corte d’Appello di Torino non è riuscita a trovare abbastanza giudici per comporre il collegio.

Sotto processo Diego Robella ed Ezio Trinchero, i soci che tentarono il salvataggio della Way Assauto, mai andato a buon fine e chiuso con il fallimento della storica azienda astigiana, un processo per bancarotta fradulenta dei due e che si è lasciata dietro l’insoddisfazione di circa 200 operai che si sono costituiti parte civile ad ogni grado del procedimento.

Infatti, al netto delle originarie accuse che vennero già notevolmente sfoltite dal tribunale di Asti proprio per ragioni legate alla prescrizione (via i reati strettamenti fiscali), erano rimaste in piedi quelle riguardanti l’acquisto di una Grande Punto regalata ad un sindacalista interno e l’appropriazione di 260 mila euro destinati al Fondo Cometa degli operai. Di qui la presenza degli ex lavoratori nel processo. Insieme al curatore fallimentare che sostiene come i due soci imputati avessero rilevato la Way Assauto per spogliarla delle ultime risorse di cui ancora disponeva.

Oggi doveva tenersi una nuova udienza, dopo quella del giugno scorso, ma qualche giorno fa sia i difensori degli imputati (avvocati Rattazzi e Caranzano) che i legali delle parti civili (Fim-Cisl con gli avvocati Pasta e Sellitti e Fiom-Cgil con l’avvocato Lamatina oltre al curatore fallimentare Pier Paolo Berardi) è arrivata la comunicazione della Corte d’Appello che spiega come sia stato necessario disporre il rinvio dell’udienza a marzo perchè non vi era disponibile un numero di giudici sufficiente per comporre il collegio.

E, ironia della sorte, manca per proseguire il processo, proprio un giudice astigiano, la dottoressa Bonisoli, che era stata applicata alla Corte d’Appello di Torino per un periodo salvo poi essere  riassegnata al Tribunale di Asti, quello presso il quale è in servizio e che, a sua volta, ha bisogno della sua presenza per garantire lo svolgimento del calendario di udienze. Ma la Bonisoli, nel processo Waya, era stata nominata relatrice del procedimento e il suo rientro ad Asti, ampiamente previsto, ha lasciato così scoperto il collegio.

Il Csm non ha autorizzato altre applicazioni alla Corte d’Appello di Torino e fra pochi giorni inizierà un complesso processo con detenuti che ha la “precedenza” come impegno rispetto al procedimento Waya. Detto questo, dunque, ci si rivede a marzo.

«Ma possibile che un processo debba durare così tanto e che non sia stato possibile celebrarlo prima? – si chiede l’avvocato Alberto Pasta molto contrariato dal rinvio – Tenendo conto che io e il collega Emilio Sellitti nel corso degli anni abbiamo inviato ben due istanze via pec per fissare un’udienza in tempi utili per non arrivare così a ridosso della prescrizione. Che, quando arriverà, rappresenterà un esempio di giustizia negata a 200 operai».

Sempre Pasta aggiunge che, inoltre «Gli imputati non hanno mai versato i 500 euro per ogni operaio disposti dal tribunale di primo grado».

Sentenza che aveva previsto anche il versamento di 500 mila euro al curatore del fallimento.

 

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