La sua è quasi una “non storia”, perché Stefano, per scelta, ha modificato il meno possibile della sua vita precedente a quell’11 novembre 2016 in cui una radiografia ha fatto scattare un importante campanello d’allarme
«Non permetterò al tumore di cambiare i miei progetti di vita né di abbattermi. Mi è capitato, ne prendo atto e ho fatto e continuerò a fare tutto quello che è necessario per eliminarlo.
Senza drammi, senza disperazione, senza sconvolgimenti drastici» questa lucida e matura riflessione arriva da un “uomo” di 17 anni, Stefano Vetri, che da poco meno di un anno, con la sua famiglia, convive con la diagnosi di Sarcoma di Ewing, una rara forma tumorale che si manifesta prevalentemente in età pediatrica.
La sua è quasi una “non storia”, perché Stefano, per scelta, ha modificato il meno possibile della sua vita precedente a quell’11 novembre 2016 in cui una radiografia ha fatto scattare un importante campanello d’allarme. Ma è una “non storia” esemplare, che racconta, nella sua linearità, come sia possibile reagire ad una notizia drammatica come quella di un tumore su un ragazzino di 16 anni, nel modo più propositivo possibile.
Stefano è un adolescente modello: studia, fa sport, ha una fidanzata, Nat, vive in famiglia. I medici, fin dal primo momento, gli hanno detto che avrebbe dovuto rinunciare a tutto tranne che alla vita in famiglia che, invece, sarebbe diventata la sua quotidianità: chiuso in casa per timore di infezioni e complicazioni fra un ciclo chemioterapico e l’altro. Ma lui non ha accettato uno stop alla sua vita. E così, con i genitori, ha cominciato fin da subito a trovare mediazioni possibili fra le esigenze della chemio e quelle della sua vita privata. Trovandole.
Interrogato su appuntamento
La prima ha riguardato la scuola. La diagnosi definitiva è arrivata il 20 novembre dell’anno scorso, giorno in cui i medici gli hanno detto che avrebbe dovuto lasciare immediatamente la scuola per sottoporsi ad una prima serie di 13 cicli chemioterapici a distanza di 21 giorni l’uno dall’altro. Una “scaletta” che non prevedeva la possibilità, fra una chemio e l’altra, di uscire, prendere autobus, treni, andare al cinema, frequentare luoghi affollati meno che mai un’aula di scuola.
Stefano proprio non ci stava a perdere un anno di scuola; iscritto al Giobert indirizzo turistico, è andato a parlare con la preside Patrizia Ferrero e con la vice Nicoletta Martinengo e insieme hanno elaborato un sistema per consentirgli di frequentare scuola anche da casa.
All’inizio il ragazzo studiava per conto suo a casa grazie agli appunti dei compagni che la fidanzata (anche lei studentessa del Giobert) gli portava a casa ogni due giorni, poi, da marzo, è arrivato il collegamento via Skype che gli ha consentito di seguire le lezioni in diretta. Interrogazioni e verifiche, invece, venivano concordate con gli insegnanti con i quali Stefano prendeva appuntamento a scuola, in un’aula separata, quando le sue condizioni di salute gli consentivano di prepararsi e spostarsi fino ad Asti da Montafia, suo comune di residenza.
Skype e appuntiper seguire le lezioni
«Abbiamo trovato molta disponibilità in tutto il corpo docente – dice Daniela, la madre – e questo ha consentito a mio figlio non solo di non perdere l’anno nonostante la malattia, ma di essere promosso con una media dell’8».
Già in prima e seconda Stefano aveva vinto delle borse di studio e per l’anno scolastico appena iniziato si ripeterà questa modalità di frequenza da casa fino a novembre, quando cesserà il ciclo di sedute chemioterapiche e dovrebbe tornare a poter frequentare scuola regolarmente.
Il sogno che insegue è quello di frequentare in seguito l’Università del Gusto di Pollenzo e diventare chef.
In acqua e sugli scinonostante le sgridate dei suoi medici
Sistemata così la scuola, Stefano non ha voluto neppure rinunciare del tutto allo sport.
Per lui ha sempre rappresentato una parte importante della sua vita e, affiancato dai genitori, si è concesso qualche nuotata in mare e qualche discesa in montagna, nonostante le raccomandazioni (e le “sgridate”) dei medici.
Anche Nat, la sua fidanzata, continua a frequentare la casa di Stefano e ad andarlo a trovare in ospedale; certo, con tutte le precauzioni necessarie (dalla mascherina alle mille attenzioni per evitare cadute e ferite), ma l’intera famiglia ha sposato la “filosofia” del ragazzo che non vuole cedere alla malattia e alle limitazioni che gli impone.
Un carattere già molto strutturato che è stato ulteriormente fortificato dalla malattia e che lo spinge, in molte occasioni, soprattutto quelle più difficili delle reazioni all’infusione continua durante le sedute chemio, ad essere di sostegno alla madre e al padre, costantemente impegnati a fare i conti con la realtà di un figlio malato di tumore.
Nessuna resa alla malattia
Ma neppure loro si sono arresi ai primi ostacoli: «Il medico che per primo ha parlato del sarcoma di Stefano – ricorda la madre – dopo le analisi che avevamo fatto in seguito al mal di schiena scatenato da un banale strappo muscolare, ci ha parlato di una malattia “inesorabile” invitandoci a prendere atto di questo e a prepararci.
In pochi giorni abbiamo fatto visitare Stefano e fatto visionare le analisi ad altri 20 medici e uno di questi ci ha indirizzati al Regina Margherita dal dottor Sebastian Asaftei, colui che invece ci ha ridato speranza, che ha sempre seguito nostro figlio e che ci ha dato le prime buone notizie sugli esiti della chemio.
Non bisogna arrendersi e non bisogna abbattersi perché nella cura al tumore anche la determinazione e la forza con la quale si affronta la malattia ha un peso sull’esito che può derivare dalle terapie».
Dalla fisica alla cura dei pazienti oncologici
Stefano, 79.mo paziente di Sarcoma di Ewing in Italia nel 2016, è stato anche “trattato” al Cnao di Pavia, il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica, una tecnica nata nei laboratori di fisica nucleare e migrata nel campo medico grazie allo sviluppo di un super raggio di carbonio e protoni che bombardano con precisione le masse tumorali risparmiando i tessuti sani.
La ricerca medica e tecnologica è stata fondamentale nella storia di Stefano e di tanti pazienti come lui. Lo riconosce la madre, Daniela, che ha partecipato fattivamente all’acquisto dei braccialetti dell’Ail il cui ricavato va ad un progetto sulle malattie rare infantili. «In questa occasione –confida ancora la madre – e nei momenti più difficili di questo percorso (iniziato lo stesso giorno in cui la stessa Daniela aveva terminato la sua personale battaglia contro un cancro al seno), grazie anche a Facebook ho trovato il sostegno di persone incredibili e straordinarie che ci hanno dato forza e non ci hanno fatto sentire sole.
Insieme a quelle che, senza commiserarci, ci hanno aiutato nei piccoli e grandi problemi quotidiani, come, tanto per fare un esempio, la ricerca di un insegnante di tedesco per le lezioni a casa che l’amica Silvana Visconti ha risolto presentandoci Brigitte Morando».
Daniela Peira