Ci sono gioielli architettonici destinati a risplendere, nonostante la patina del tempo li offuschi anche per lunghi periodi. Di metamorfosi in metamorfosi, questi beni preziosi riescono comunque a
Ci sono gioielli architettonici destinati a risplendere, nonostante la patina del tempo li offuschi anche per lunghi periodi. Di metamorfosi in metamorfosi, questi beni preziosi riescono comunque a sopravvivere, trasformandosi, in parte o del tutto, in altro da ciò che originariamente erano stati. Così la Chiesa Reggimentale di Sant'Anna, adiacente all'Archivio di Stato, in via Govone, ad Asti, uno dei vari esemplari di architettura barocca piemontese, presenti sul nostro territorio, che porta la prestigiosa firma di Filippo Juvarra e Benedetto Alfieri, tra i più celebri architetti di quella corrente. Sconsacrata dall'età napoleonica e da tempo abbandonata a se stessa, per mancanza di fondi e progetti, la chiesa versa in condizioni critiche dal punto di vista strutturale, specie all'interno, che risulta più compromesso, pur non presentando, per quanto riguarda il consolidamento, problemi di immediati crolli, ma necessitando comunque, al più presto, di interventi di recupero e ristrutturazione.
Un aspetto su cui ha richiamato più volte l'attenzione Renzo Remotti, direttore dell'Archivio di Stato, nell'intento di ridare nuova vita all'edificio, attualmente di proprietà del Ministero dei Beni Culturali. Così come lo stesso Archivio di Stato (di quest'ultima struttura solo l'ala destra appartiene al Comune). «La mia idea -? spiega Remotti -? sarebbe di realizzare nella chiesa un auditorium, per iniziative musicali e teatrali, per eventi d'intrattenimento e convegni. Si potrebbero ricavare dai 200 ai 300 posti circa, studiando bene il progetto, che ad oggi ancora non c'è. Inoltre, l'auditorium avrebbe una scenografia particolare, addirittura unica in Piemonte, considerato il contesto. L'intervento di recupero comporterebbe una spesa compresa tra i 2 e i 2 milioni e mezzo di euro, per coprire i lavori di restauro e impiantistica. Per quanto riguarda in particolare il restauro, l'aspetto più costoso è trovare maestranze specifiche e molto addestrate. Personalmente, ho sottoposto l'idea al Ministero, che per ora non mi ha dato risposta. Mancando i fondi, infatti, non si può sbilanciare. Dal canto mio, ripresenterò la proposta. Sempre in merito ai fondi -? aggiunge -? esiste la possibilità di accedere a finanziamenti europei, ma lo Stato deve credere nel progetto e farsene in qualche modo promotore e garante. In alternativa, si possono ipotizzare forme di partenariato pubblico privato. Qualora si ottenessero le risorse, l'affidamento dei lavori passerebbe tramite un bando pubblico. Oppure attraverso lo sponsor privato, previo comunque un bando per quest'ultimo, che a sua volta gestirebbe poi i lavori».
Remotti sottolinea quindi «il valore inestimabile dell'edificio», ritenendo perciò «ideale la destinazione d'uso ipotizzata. Il mio obiettivo, infatti, è sempre stato quello di fare in modo che i beni culturali siano fruibili, come dice oggi la normativa, rendendoli pertanto idonei e facendoli vivere alla cittadinanza. Un bene culturale ? rimarca ? non deve essere fine a se stesso, bensì un volano di elementi virtuosi e anche una leva economica. Se si riesce a richiamare gente e a organizzare eventi, infatti, si aiuta tutto l'indotto che orbita intorno al territorio: dalle attività ricettive a quelle mercantili. Bisogna però avere sensibilità e convogliare in questa direzione delle risorse, spendendo bene il denaro pubblico. Se invece non viene data l'opportunità a persone capaci di esprimersi, è inutile disporre di beni e competenze».
Il direttore ripercorre poi l'affascinante storia di questo edificio, fatta di elementi storici, architettonici e leggendari. «Le prime fondazioni della chiesa -? spiega Remotti -? che oggi non esistono più, sono medievali. Tuttavia, la chiesa vera e propria è ascrivibile al periodo tra il XVII e il XVIII secolo. Lo stile barocco si evidenzia in particolare nei fregi, in marmo o gesso, nei putti e nella ricchezza dei particolari. Si può dire che l'edificio sia a metà tra il barocco, di per sé ricco, e il rococò, più ampolloso. Nello specifico, Filippo Juvarra ha realizzato alcuni fregi e Benedetto Alfieri gran parte dei lavori, rimaneggiando anche un po' l'intervento del collega. La leggenda dice poi che la regina longobarda Teodolinda abbia fondato in questa zona un convento, con annessa la chiesa, dopo la sua conversione al Cristianesimo. Non ci sono però riscontri archeologici di questa struttura longobarda. Dal 1200 è esistito invece un convento benedettino e in seguito cistercense, proprio dove oggi ha sede l'Archivio di Stato. Si trattava di un convento di monache di clausura, che da dietro una grata, ancora individuabile nei locali dell'Archivio di Stato, assistevano alla messa officiata nella chiesa adiacente. Alla loro morte venivano sepolte all'interno del complesso. Tant'è che sono emerse, in passato, alcune tombe con i relativi scheletri. Al tempo, questa zona era una palude. Una delle regole cistercensi cioè quella di fondare conventi nelle aree paludose muoveva dall'intenzione di bonificarle e trasformarle in orti. Non a caso, ancora oggi, questa parte della città è detta "zona degli orti". Pare inoltre che nella chiesa siano sepolti una beata e uno storico astigiano del 1200 ? 1300».
In seguito, tra le tappe più importanti della vita dell'edificio, Remotti ricorda la nomina a badessa, nel 1700, di una discendente degli Alfieri. Quest'ultima appalta i lavori di ristrutturazione della chiesa a Benedetto Alfieri. A sua volta, Napoleone requisisce tutti i conventi, facendoli diventare caserme. Il complesso diventa proprietà dello Stato Sabaudo e poi di quello Unitario. Nei primi anni del ?900, è una Caserma dei Vigili del Fuoco. Successivamente, conosce un forte abbandono, che negli anni '70 porta allo sgombero. Un aneddoto curioso: a metà circa del secolo scorso, ad Asti c'era un clochard che raccoglieva in città cartoni, di cui aveva letteralmente riempito la chiesa, dove viveva e dormiva. Nel frattempo, la proprietà demaniale era del Genio Civile, per passare infine al Ministero dei Beni Culturali. Fatta questa digressione storica, Remotti ritorna sull'importanza e il valore per la nostra città del recupero di questo edificio. «Pur non essendo l'unico esempio di barocco piemontese, la sua particolarità sta nei nomi che ci hanno lavorato e in quella che potrebbe essere la sua destinazione. Il mio pensiero -? conclude -? è che purtroppo la società di oggi non manchi tanto di denaro, quanto di immaginazione e della capacità di credere in grandi progetti. A volte, invece, bisogna osare e sognare».
Manuela Zoccola