Un mese e mezzo di carcere cominciano a farsi sentire anche per un uomo spavaldo e senza timori come Michele Buoninconti. Smagrito e solo, le dichiarazioni di sfida ai magistrati e agli investigatori
Un mese e mezzo di carcere cominciano a farsi sentire anche per un uomo spavaldo e senza timori come Michele Buoninconti. Smagrito e solo, le dichiarazioni di sfida ai magistrati e agli investigatori che ne hanno chiesto l'arresto per la morte della moglie Elena Ceste ostentate nei primi giorni, stanno lasciando il posto ad una crescente consapevolezza di essere in una difficilissima posizione giudiziaria e di dover fare l'impossibile per far credere la propria estraneità alle gravi accuse che gli vengono mosse. E' per questo che nelle scorse settimane ha lavorato alacremente insieme ai suoi difensori, Masoero e Girola, per predisporre il ricorso per Cassazione contro l'ordinanza di custodia cautelare.
Un primo ricorso, quello al Tribunale del Riesame di Torino ha dato esito negativo: tre giudici donna hanno alleggerito le accuse ritenendo insussistente la premeditazione del fatto ma hanno anche motivato in modo articolato il persistere delle esigenze cautelari in carcere. Ora Buoninconti chiede ai giudici romani di valutare tutto l'impianto accusatorio e, in attesa del processo, di crederlo incapace di nuocere a chicchessia lasciandolo libero. Il ricorso è stato presentato lunedì e non vi è previsione di sentenza. Può essere ritenuto inammissibile oppure può accogliere o respingere le richieste. Nel caso in cui accogliesse il ricorso, Michele non tornerebbe in libertà, ma dovrebbe nuovamente tenersi il riesame in sede torinese, con altro collegio di giudici. In attesa della decisione romana, Michele continua a ricevere visite in carcere.
Seppure ci sia una lunga lista di persone (fra amici e giornalisti) che hanno chiesto i colloqui, finora l'autorizzazione è stata concessa solo al fratello, a Don Mario Venturello (parroco di Motta fino all'agosto del 2013) e all'amico costigliolese Sandro Caruso. «Sono andato a trovarlo pochi giorni fa e l'ho trovato molto provato.
Patisce la solitudine e il fatto di non poter incontrare i figli nè avere notizie di loro – racconta – Apprezza lo sforzo che stiamo facendo noi amici per proclamare la sua innocenza, ci ha ringraziati per questo e ha preso a scrivere lettere, molte lettere. Io ne riceverò almeno tre alla settimana. Lettere in cui smonta, punto per punto, le accuse della Procura». In carcere Michele legge molto, non più solo la Bibbia, e passa gran parte del tempo a ricostruire i fatti del 24 gennaio e dei giorni immediatamente precedenti e seguenti per costruire una linea difensiva che possa portarlo fuori dal carcere.
Daniela Peira