Era nato il 4 giugno 1885 alle Trincere, la piccola borgata dell'oltretanaro astigiano che avrebbe, negli anni successivi, dato i natali anche ad Amulio Viarengo e a Sebastiano Torchio, quello che
Era nato il 4 giugno 1885 alle Trincere, la piccola borgata dell'oltretanaro astigiano che avrebbe, negli anni successivi, dato i natali anche ad Amulio Viarengo e a Sebastiano Torchio, quello che può essere definito, ad onta degli storici della materia che sovente hanno sguardi un po' strabici e prima dello straordinario Costante Girardengo, il primo "campionissimo" del ciclismo italiano.
E' vero, non vinse mai il Giro d'Italia che però corse più volte, né il Giro di Francia dove fu bastonato di santa ragione dai tifosi d'oltralpe, ma incarnò al meglio lo spirito del ciclismo nascente che faceva leva sul coraggio – strade sterrate, bici di dieci o dodici chili, nessuna radiolina né tantomeno auto al seguito -, sull'intraprendenza, la tenacia, l'astuzia, la tecnica e la capacità di essere professionista studiando i percorsi, gli avversari, i punti in cui attaccare e quelli in cui difendersi.
Aveva fatto una durissima scuola nel far west delle sfide ciclistiche milanesi dove tutto o quasi era permesso, e sulle strade diventò, con la mitica maglia rossa, quasi imbattibile nei primi dieci anni del secolo scorso. Suo fu il primo Giro di Lombardia, suo il Giro del Piemonte, sue furono alcune gare oggi dimenticate (Corsa Nazionale, Coppa del Re, Napoli-Roma-Napoli) ma che all'epoca erano poco meno di grandi classiche o campionati internazionali.
Suo un leggendario primato delle sei ore su pista. E sua, infine, l'idea di far correre anche i meno giovani nella categoria Veterani, antesignana degli "amatori". Un mito nazionale con più di ottanta società dedicate al suo nome in tutta la penisola. Per tutti, da allora, il Diavolo Rosso, Giovanni Gerbi, "Piciòt".
Paolo Monticone