È successo dopo Los Angeles. Ero andato a trovarlo con mia moglie e l'avevo visto benissimo. In forma, dimagrito di appena due chili, con un appetito vorace. Mi aveva accolto con la sua Roberta
È successo dopo Los Angeles.
Ero andato a trovarlo con mia moglie e l'avevo visto benissimo. In forma, dimagrito di appena due chili, con un appetito vorace. Mi aveva accolto con la sua Roberta nella casa che aveva preso in affitto a Venice, a un isolato dall'oceano.
Aveva cucinato orientale, poi preparato il caffè con una strana macchina che sembrava decollasse: ogni volta che mettevi la tazzina, bisognava allacciare le cinture.
Erano stati giorni fantastici. Mi aveva portato in un ristorante vietnamita a mangiare l'insalata di cactus, in un pazzesco mercato multietnico a downtown dove si era spazzolato due piatti di bollito, testina e frattaglie e poi a Topanga Canyon, fin lassù dove si vede la San Fernando Valley.
Là, davanti a quel panorama che sembrava di un altro mondo, ci siamo guardati senza parlare e sono sicuro che abbiamo pensato la stessa cosa. Roberta era come al solito perfetta. Lui era come al solito meravigliosamente infantile. Siamo tornati dopo una settimana felici come bimbi.
Qualche giorno dopo, mi chiama.
"Dove sei?"
"Sto andando fuori a cena. Voi?"
"Verso Malibu, a pranzo".
Gli dico: "Vedi come sono diverse le nostre vite? Io vado a mangiare ad Asti e tu a Malibu".
E Giorgio: "Darei dieci anni della vita di Renzi, perché dieci anni della mia vita non li ho più, per essere ad Asti e non qui a Malibu". E giù risate, per una volta un po' tristi.
Questo era Giorgio. Astigiano fino al midollo. Uno che, come tutti noi, quando è qui vorrebbe essere altrove ma quando è altrove pensa che non esista posto più bello al mondo di Asti.
Aveva lunghi silenzi e accensioni improvvise, attraversava tutte le stagioni in un solo giorno. Non ho mai riso con nessuno come con lui. Una volta siamo finiti persino fuori strada per il troppo ridere.
Diceva che mi vestivo al buio, perché accostavo i colori in modo improbabile, e allora si vendicava guidando in macchina a una velocità folle. Ricordo una curva ai 190 all'ora e poi l'ingresso in un autogrill.
"Scusa, ho accelerato perché me la facevo addosso", dice. E io: "Giorgio, io me la sono già fatta addosso".
Aveva gli occhi di un bambino che davanti ha un barattolo di marmellata.
Massimo Cotto