“Vorrei informarvi che, come ogni anno, mio figlio non ha svolto i compiti estivi”
“Vorrei informarvi che, come ogni anno, mio figlio non ha svolto i compiti estivi”. Questo è l’incipit della lettera, diventata virale su internet, che il papà di Mattia, uno studente di Varese, ha scritto ai professori del figlio. L’ha giustificato per non aver fatto i compiti delle vacanze. Tutto qui.
Nella comunicazione diretta al corpo docenti, Marino – il padre – elenca nel dettaglio tutte le numerose e interessanti attività che Mattia ha potuto svolgere durante l’estate, avendo molto più tempo libero di altri suoi coetanei intenti, poveri loro, a ripetere le lezioni svolte in classe, approfondire italiano, inglese, matematica e tenere le cellule grigie pronte in vista del nuovo anno scolastico.
“Voi avete nove mesi circa per insegnargli nozioni e cultura – scrive il padre ai docenti – Io tre mesi pieni per insegnargli a vivere”.
Detto così, è chiaro che la lettera ha suscitato un giubilo di consensi tra gli addetti ai lavori genitoriali, un po’ meno tra i professori (parte dei quali ancora impegnato nel capire se, dove, quando e per quanto terrà l’ambita cattedra).
Da padre, non convido del tutto quanto scritto dal mio “collega” genitore. E’ vero che l’estate è un momento di vacanze e spensieratezza, tre mesi nei quali recuperare il tempo trascorso sulle “sudate carte”.
Ma al di là della lunghezza delle vacanze estive su cui si potrebbe discutere (per i genitori che lavorano è l’inzio di un calvario tra centri estivi, oratori, piscine, etc. nel tentativo di dare ai figli qualcosa da fare che sia di stimolo, compiti a parte), il padre di Mattia spiega di aver tempo solo tre mesi per insegnargli a vivere.
E i restanti nove? Il tempo non lo trova più?
Non credo che da settembre a giugno Mattia non abbia occasione di stare con suoi padre per fare tutto ciò che padre e figlio hanno diritto di realizzare insieme, ma dalla lettera sembrerebbe che sia così.
I compiti estivi servono e non servono, a seconda se si fanno con interesse, un po’ per volta, e non ci si riduca all’ultimo giorno scopiazzandoli dal classico compagno secchione. In questo caso è meglio non farli.
Quello che non condivido è la decisione unilaterale – e neanche la prima di questo genere, stando alla lettera – che il padre di Mattia ha preso senza interpellare gli insegnanti. Vi informo che mio figlio non ha fatto i compiti. Così è (se vi pare) per dirla alla Pirandello. Se non vi pare, peggio per voi.
E’ lo scambio di ruolo del padre con gli insegnanti a essere del tutto sbagliato. Lo stesso che spinge i genitori, a bordo campo, durante le partitelle di calcio dei figli (ovviamente tutti Maradona in erba) a decidere, al posto dell’arbitro, se sia fallo o no, se sia rigore o meno.
I giovani 2.0 non hanno bisogno di alibi forniti da complici più o meno titolati. Non serve loro la giustificazione, né imparare che, in un modo o nell’altro, qualcuno ci metterà una pezza.
Quindi salviamo le vacanze, divertiamoci a fare tutto ciò che vogliamo con i nostri figli, ma ad ognuno il suo ruolo, altrimenti Mattia, e tutti i Mattia di questo mondo, avranno sempre una buona scusa per sottrarsi al proprio dovere, perché ci sarà sempre qualcosa di più importante da fare, soprattutto se costa meno fatica che riempire un libro di esercizi.