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Se ai giovani la chiesa sembra dire solo "no"
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Se ai giovani la chiesa sembra dire solo "no"

Visto l’abbandono al pontificato di Benedetto XVI, e le forti richieste di rinnovamento all’interno della Chiesa, abbiamo voluto interrogarci sul rapporto tra le nuove generazioni e la Chiesa

Visto l’abbandono al pontificato di Benedetto XVI, e le forti richieste di rinnovamento all’interno della Chiesa, abbiamo voluto interrogarci sul rapporto tra le nuove generazioni e la Chiesa cattolica. Il Rapporto Giovani, curato da un gruppo di docenti dell’Università Cattolica, è un’indagine su 9000 giovani italiani e sul loro rapporto con le istituzioni. In particolare, per quanto riguarda la Chiesa, si evincono dei dati molto curiosi. Ottiene fiducia in più di cinque credenti su dieci, ma se si considera l’intero campione, senza distinguere tra credenti e non, si scende a soli tre su dieci. Inoltre, i dati evidenziano come la percentuale di voti favorevoli aumenti con il titolo di studio, fino ad arrivare al 51,5% dei laureati. Più donne hanno un giudizio positivo nei confronti della Chiesa (50,3%) rispetto agli uomini (48,9%).

Si registra una stima molto più alta per le figure che i giovani conoscono personalmente, e con cui possono interagire nella realtà di tutti i giorni. Infatti, la percentuale di consensi subisce un notevole incremento quando ai giovani non viene chiesto il grado di fiducia nella Chiesa, ma, ad esempio, nei missionari, nei sacerdoti, negli insegnanti di religione. Si riscontra anche un atteggiamento favorevole verso le parrocchie e verso gli oratori, che vengono considerati luoghi di aggregazione e di socializzazione. Per approfondire la questione, abbiamo intervistato don Carlo Rampone, responsabile della Pastorale Giovanile della diocesi di Asti.

Come vede, oggi, il rapporto tra le nuove generazioni e la Chiesa cattolica?
Il rapporto tra giovani e Chiesa oggi è piuttosto conflittuale. I giovani (come la società in cui vivono) vedono nella Chiesa una realtà che dice tanti “no”, e in alcuni casi non comprendono le motivazioni per questi “no”. Da questo punto di vista, la Chiesa si presenta non tanto come accogliente, quanto negante. Questa è una concezione della Chiesa che definirei da “spettatore”. Il giovane ha invece occasione di sentirsi “protagonista”quando può vivere un’esperienza che lo porta all’interno. Molto vicino a noi c’è il Sermig a Torino, un po’ più lontano Taizé, ma anche le Giornate Mondiali della Gioventù. Queste realtà gli permettono di andare oltre una superficialità, anche inconscia, e di poter sentirsi attivo in una comunità. Oggi c’è una sorta di passività del cristianesimo. Molti ricevono i sacramenti, ma spesso vivono la Chiesa dall’esterno, senza esserne coinvolti.
Come viene gestita la relazione giovani-Chiesa ad Asti?
Anche nella piccola realtà della diocesi si fanno esperienze parrocchiali, come gruppi di catechesi, come il postcresima, si va negli sportelli d’ascolto della Caritas, o si partecipa a delle iniziative di approfondimento culturale, come può essere “Il cortile dei dubbiosi”, ponte tra credenti e non credenti, un progetto appena partito. Il fattore più debole è soprattutto la continuità del cammino della persona verso la Chiesa: spesso l’esperienza si ferma ad un certo punto, magari alla fine dell’adolescenza. Questo rischia di impoverirne il senso.
La Chiesa si sta impegnando abbastanza per questo obiettivo?
Si può sempre fare di più: l’annuncio di Gesù deve sempre essere contestualizzato. La nuova evangelizzazione tocca ovviamente anzitutto la fascia giovane. Una delle necessità, e lo vedo anche dalla mia esperienza nelle scuole, è quella di dare una spiegazione stringente e coerente su tutto ciò che la Chiesa indica come modus operandi per seguire Gesù, che tocca sia il rapporto con gli altri, sia quello con se stessi, nell’intimità della propria fede. Bisogna collegare Dio e uomo, cercando di evitare una scissione tra le due sfere che non è cristiana, perché nega Cristo come incarnato.
L’ora di religione nelle scuole è ancora necessaria o è diventata una formalità?
L’uomo non può essere studiato tralasciando la sua fase religiosa o il suo essere religioso. Per fase religiosa intendo una storia delle religioni; per essere religioso intendo il presente, la fede. Distinguerei tra ora di religione e religione cattolica. Per quanto riguarda la seconda, noi insegnanti dobbiamo cercare di dare risposte più attinenti alle domande dei ragazzi: il che non significa assecondarli incondizionatamente, ma significa provocarli nel senso di una riflessione. Quello che dobbiamo insegnare, prima di tutto, è la capacità di ascolto, il purificarsi da un modo di pensare superficiale e il superare i propri pregiudizi, rispettando la diversità delle opinioni. Cancellare l’ora di religione significherebbe negare la realtà dell’uomo, sia nella storia che oggi.
In vista del conclave, lei crede che sia il momento di un papa giovane?
Io spero semplicemente che Dio doni delle persone significative. Credo che il prossimo Papa dovrà continuare nella scia di Giovanni Paolo II per quanto riguarda la “missionarietà” e in quella di Benedetto XVI per la verità.

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