Quattro lettere che negli anni Ottanta e Novanta hanno terrorizzato il mondo e un’intera generazione di ragazze e ragazzi. Una malattia che da più parti era stata definita “la pestilenza del nuovo Millennio”
Quattro lettere che negli anni Ottanta e Novanta hanno terrorizzato il mondo e un’intera generazione di ragazze e ragazzi. Una malattia che da più parti era stata definita “la pestilenza del nuovo Millennio” e che nel nostro Paese, così come altrove, aveva spinto il Ministero della Salute a finanziare una serie di campagne informative su giornali e televisioni al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi del contagio e sugli effetti della malattia. Perché di AIDS si moriva e, seppur in maniera minore, si muore ancora oggi. Solo, che a differenza degli anni Novanta, nel 2016 sembra esserci meno consapevolezza dei rischi della malattia (AIDS) e del virus che la trasmette (HIV). A confermarlo, gli operatori sanitari degli ambulatori Malattie Infettive dell’Ospedale Cardinal Massaia di Asti che constatano come, negli ultimi anni, l’attenzione dell’utenza nei confronti di questa infezione si sia allentata. «L’AIDS e l’HIV non fanno più paura – spiega il dottor Mauro Valle del Reparto Malattie Infettive dell’ospedale di Asti – Complice di questo, paradossalmente, i progressi della medicina che grazie alla formulazione di terapie sempre più efficaci consentono ai malati una buona qualità della vita, sottovalutando così i rischi».
Una malattia cronica
Fino a metà degli anni Novanta, ovvero prima dell’arrivo della tripla terapia, l’Aids era una malattia con una mortalità del 100 per cento. Non lasciava scampo. A salvarsi era solo qualche fortunato. I farmaci hanno cambiato il decorso clinico della malattia trasformandola da invariabilmente mortale a malattia cronica. Rispetto ai primi cocktail di farmaci, quelli attuali non hanno conseguenze drammatiche, gli effetti collaterali sono modesti. L’infezione da HIV può essere controllata. Si vive bene e per un numero di anni molto vicino alla popolazione non sieropositiva a patto che la terapia venga assunta in modo inappuntabile, per tutta la propria esistenza e con uno stile di vita estremamente attento. Insomma, tra la popolazione si è fatta strada l’idea che la malattia non sia più così pericolosa. Ma di HIV, ricordano gli esperti, si muore ancora, con tasso del 2-5 per cento l’anno. Questo perché i pazienti sieropositivi non seguono a deguatamente la terapia prescritta o perché le diagnosi non sono tempestive. Inoltre, spesso ci si dimentica di un punto: l’HIV non è un virus dormiente, fa danni all’organismo anche quando la malattia è tenuta sotto controllo con i farmaci che sono comunque tossici nel medio e lungo termine. Le terapie hanno risolto la malattia acuta, si evita la sua progressione e morte certa entro 1-2 anni dalla diagnosi. Con la cronicizzazione della malattia è però stato scoperto che il virus danneggia lentamente l’organismo: i sieropositivi con carica virale controllata hanno complessivamente un rischio da 2 a 10 volte più alto di tumori, diabete, malattia renale, infarto del miocardio, ictus rispetto alla popolazione sieronegativa. Insomma, il fenomeno è ben lungi dal poter essere preso sotto gamba.
I nuovi contagi
Anche perché, il numero di contagi e di nuove diagnosi di positività all’Hiv negli ultimi anni è rimasto stabile: in Italia, stando all’ultimo aggiornamento fornito dall’Istituto Superiore di Sanità, nel 2013 i nuovi casi sono stati 3806, quasi il doppio rispetto a quelli registrati nel 2006. Ma qual è l’incidenza della malattia in Piemonte? Secondo i dati dell’Assessorato alla Sanità della Regione Piemonte sono 281 le persone che, nel 2015 in Piemonte hanno contratto l’HIV con un tasso di incidenza di 6,3 casi ogni 100 mila abitanti. Il dato emerge dall’annuale rapporto del SeReMi, il servizio di riferimento regionale di epidemiologia per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle malattie infettive, pubblicato in occasione della Giornata Mondiale per la Lotta all’AIDS, svoltasi lo scorso 1°dicembre 2015. Si stima che le persone che vivono con l’HIV nella nostra regione siano 2 su mille, pari a circa 8.400. Il loro numero è cresciuto nell’ultimo decennio.
Alcuni dati
La frequenza di HIV risulta tre volte maggiore tra gli uomini (0,3%) rispetto alle donne (0,1%) e in alcune classi di età è particolarmente alta: tra gli uomini piemontesi dai 45 ai 54 anni raggiunge lo 0,8% circa. Così come a livello nazionale, nella nostra Regione l’HIV si trasmette in più di 9 casi su 10 attraverso rapporti sessuali non protetti. «Questo dato ci fa riflettere – continua il dottor Valle – perché nel 2014 il 92% delle nuove diagnosi positive all’ HIV sono avvenute per trasmissione sessuale. A seguito cioè di rapporti non protetti. Fino agli anni Novanta il contagio interessava per la stragrande maggioranza gli ambienti della tossicodipendenza». Le nuove diagnosi di HIV si osservano con frequenza maggiore tra gli uomini (75% del totale) e tra i giovani. Il tasso di incidenza più elevato (16,3 casi per 100.000) si registra tra i piemontesi di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Nei giovani di questa età che hanno contratto l’infezione tramite i rapporti omosessuali non protetti si rileva negli anni il maggior incremento di casi. I casi di nuova diagnosi di HIV negli stranieri rappresentano il 27% del totale. L’andamento dei tassi di incidenza in questa parte della popolazione presenta un trend in calo la cui riduzione è in media di 9 casi l’anno. Sempre secondo il report SeReMi, nel 2014 le diagnosi di malattia in Piemonte sono state 72, pari a un tasso di incidenza di 1,6 casi ogni 100.000 abitanti. A Novara, negli ultimi cinque anni, si registra il tasso di incidenza (2,8 casi ogni 100.000 abitanti) di malattia più alto a livello regionale. In questa provincia e in quella di Alessandria si osserva, negli ultimi 10 anni, un numero di nuove diagnosi di AIDS pressoché costante a fronte di una riduzione rilevata per le altre province del Piemonte. Nel 2014, le diagnosi di AIDS segnalate sono rimaste costanti rispetto all’anno precedente in tutte le province piemontesi eccetto in quella di Torino che segnala 36 nuove diagnosi, 7 in più rispetto al 2013. Le età mediane registrate nelle 21 donne e nei 51 uomini con diagnosi di AIDS nell’ultimo anno (2014), rispettivamente 47 e 51 anni, sono le più elevate di tutto il periodo in osservazione (1984 – 2014). Fino al 1995 l’età mediana non superava i 34 anni, negli ultimi dieci anni si mantiene sopra i 40 anni. Ad Asti, dove il reparto Malattie Infettive segue circa 300 pazienti affetti da HIV, tra il 2010 e il 2014, si sono registrati 6 nuovi casi. Tra il 2005 e il 2009 ne erano stati registrati 14. «Purtroppo risulta ancora alto il numero di persone che arrivano tardi alla diagnosi, quando il loro sistema immunitario è già compromesso o addirittura quando si è già sviluppata la malattia (AIDS)» osserva il dottor Valle «purtroppo più tardiva sarà la diagnosi, meno efficaci saranno le cure». In Piemonte esiste una rete di nove Centri di prevenzione delle Malattie Sessualmente Trasmissibili (MST) a cui rivolgersi gratuitamente per visite. I Centri MST garantiscono l’accesso agli utenti con un orario prefissato per un minimo di tre giorni la settimana senza prenotazione e senza impegnativa del medico. All’ospedale di Asti ci si può rivolgere con accesso diretto all’ambulatorio per le Malattie sessualmente trasmissibili il martedì, giovedì e venerdì a partire dalle 14.
Il caso di Valentino ci fu anche ad Asti
Sono le cronache ad aver riportato all’attenzione dell’opinione pubblica l’importanza della prevenzione (e quindi dell’utilizzo del profilattico) come strumento per combattere la trasmissione dell’IHV tra la popolazione sessualmente attiva. Notizia recente è quella di Valentino T., trentunenne sieropositivo di Acilia, che con grande incoscienza avrebbe consapevolmente infettato dal 2006 fino ad oggi ben 31 donne senza che queste fossero state avvertite della sua sieropositività. L’uomo era stato arrestato lo scorso novembre, dopo la denuncia di una sua ex compagna scopertasi sieropositiva. La misura si era resa necessaria non perché l’uomo fosse sieropositivo ma perché aveva infettato, consapevolmente, un gran numero di partners. Al momento Valentino resta in carcere perché, se gli venissero concessi gli arresti domiciliari, per i giudici sussisterebbe il concreto pericolo che il giovane torni ad infettare di nuovo qualche donna. Una storia che ha sconvolto la capitale, tanto che ormai sui giornali si parla dell’ “untore di Roma”. Allo stesso tempo, questa vicenda ha riportato all’attenzione dei media il tema dell’AIDS e della sua pericolosità. «Non vogliamo certo insegnare ai cittadini come vivere la propria vita privata – esordisce il dottor Mauro Valle, infettivologo dell’Ospedale di Asti – Chiunque può vivere la propria sessualità come meglio crede. L’importante è usare le giuste precauzioni per evitare il contagio delle malattie sessualmente trasmissibili, come l’AIDS o la sifilide, di cui oggi ancora ci si ammala». Perché la storia di Valentino non è certo un caso isolato. «Anche ad Asti, una decina di anni fa, ci fu un paziente che contagiò, inconsapevolmente nel suo caso, un discreto numero di donne – continua il dottor Valle – per questo sono importanti le campagne di sensibilizzazione sul tema. E’ giusto tornare a parlare di AIDS e dei comportamenti corretti da adottare per evitare il contagio».
Alcune nozioni utili per la conoscenza del virus
Nozioni utili per la conoscenza del virus HIV vengono fornite dall’associazione LILA (Lega Italiana per la Lotta all’AIDS) che sul suo sito (www.lilapiemonte.org) fornisce indicazioni. Vediamo insieme. Qual è il tipo di terapia attualmente prescritta per il trattamento dell’infezione da Hiv? Oggi viene praticata la cosiddetta terapia di combinazione (nota anche con la sigla HAART), ovvero l’utilizzo di almeno tre farmaci antiretrovirali capaci cioè di inibire con differenti modalità la replicazione dell’Hiv. E’ bene sapere che dall’AIDS non si guarisce. Le terapie di combinazione non guariscono l’infezione da Hiv e non permettono di tornare ad essere Hiv negativi. Esse, impedendo la replicazione del virus, determinano una riduzione della quantità di virus nell’organismo, prevenendo in tal modo i danni che il virus rischia di causare. Nella maggior parte dei casi la terapia combinata migliora lo stato di salute generale delle persone sieropositive, riduce il rischio di ammalarsi, allunga di molto le aspettative di vita. In ogni caso la risposta ai farmaci è individuale, e i risultati conseguiti dalla stessa terapia possono essere diversi da persona a persona. I farmaci sono efficaci solo se assunti correttamente: l’aderenza alle terapie comporta un notevole impegno per chi le segue, perché prevede l’assunzione di diversi farmaci al giorno, ad orari precisi e con una alimentazione adeguata. Quando è opportuno iniziare la terapia? La decisione è personale. Quello che si decide dovrà basarsi su ciò che il medico curante consiglia di fare, sul proprio stato di salute, e su quello che si preferisce fare. Esiste un vaccino contro l’Aids? No, per il momento non esiste un vaccino in grado di evitare l’infezione da Hiv per le persone che vengono in contatto con il virus. Tuttavia in tutto il mondo sono in corso ricerche e sperimentazioni che valutano l’efficacia di vaccini sia a scopo preventivo che terapeutico.
Come si trasmette l’HIV?
In sintesi possiamo dire che le modalità con cui il virus può essere trasmesso sono tre: per via sessuale (rapporti penetrativi o rapporti orali non protetti dal preservativo). Per via ematica (utilizzo di siringhe sporche o in comune, trasfusione di sangue infetto). Per via verticale (dalla madre al figlio al momento del parto, durante la gravidanza o durante l’allattamento). Il virus invece non si trasmette: attraverso la saliva, attraverso l’aria, starnutendo o tossendo, attraverso la puntura di insetti o bevendo nello stesso bicchiere. Dunque, non si trasmette nei contatti quotidiani: vivendo o lavorando insieme, abbracciandosi, baciandosi, accarezzandosi, facendo il bagno o la doccia insieme. Come è possibile prevenire la trasmissione del virus Hiv? Attraverso poche precauzioni: rapporti sessuali protetti, ovvero con l’uso, corretto e dall’inizio del rapporto, del preservativo. Inoltre, è opportuno usare siringhe sterili e monouso per iniettarsi qualsiasi sostanza ed evitare di condividere il materiale per la preparazione della sostanza da iniettare. Anche lo scambio dello spazzolino da denti, del rasoio o di altri oggetti taglienti di uso personale può essere causa di infezione: è quindi opportuno usare sempre i propri.
Lucia Pignari