Era stato eletto sindaco da pochi mesi e si è trovato a dover fronteggiare la peggior calamità naturale della città del Dopoguerra.
Alberto Bianchino ricorda quei giorni.
Che ricordo ha di sabato 5 e domenica 6 novembre 1994?
La giornata iniziò con un sopralluogo alla scuola media Goltieri per i problemi dovuti alle infiltrazioni di acqua nelle aule. Nel pomeriggio volevo andare a trovare mia madre, a Ceva e lei già mi mise in allarme dicendomi di non andare su perché era già arrivata l’acqua del Tanaro intorno a casa. A quel punto feci un giro in città, ad Asti e con l’allora comandante dei vigili urbani Mario Calvi fin dal pomeriggio di sabato ho cominciato a chiudere le strade, via via che facevamo i sopralluoghi: Revignano, via Gerbi, la zona di San Rocco e poi corso Savona, sgombrato della folla di curiosi sul ponte. Poi, alle 6 di domenica, il risveglio con l’acqua alta fino in Campo del Palio.
Quale fu il primo atto da sindaco?
La prima ordinanza fu la chiusura delle scuole del nord della città per allestire centri di accoglienza e poi in Municipio dove tantissimi dipendenti erano già arrivati, volontariamente, per dare una mano. In quella disgrazia, ho avuto la fortuna di essere circondato da assessori e dirigenti all’altezza di una situazione così grave. Le comunicazioni erano interrotte e non avevamo l’esatta percezione di quanto stesse accadendo. Così abbiamo creato un gruppo che si preoccupasse di fare sopralluoghi e segnalare eventuali morti che, per fortuna, non ci sono stati per cause direttamente legate all’inondazione.
Come affrontò, come sindaco, l’emergenza sfollati?
Asti riuscì ad ottenere circa 40 miliardi di lire nei primi giorni per far fronte all’emergenza. Ci battemmo in ogni sede per avere fondi da destinare agli aiuti ai privati, alle aziende, alla ricostruzione. Argini, ponti, fognature, marciapiedi: tanto fu già fatto sotto il mio mandato e altre opere furono concluse in quello successivo. Ricordo che lavorai molto bene con l’allora presidente della Regione Brixio.
Lei più volte guidò anche le delegazioni di amministratori a Roma, per chiedere finanziamenti e decreti per la ricostruzione.
Fra le tante “discese” a Roma, anche quella dal presidente del consiglio Dini, che interruppi più volte per spiegare esattamente di cosa avessimo bisogno in Piemonte. Tutti mi dissero che ero stato inopportuno ma qualche anno dopo Dini mi chiamò ad entrare a far parte del suo partito. Rifiutai, ma ebbi la conferma che aveva compreso lo spirito con il quale lo affrontai quel giorno al Governo.
In pochi mesi lei diventò, suo malgrado, un esperto di ingegneria idraulica. Cosa si sente di dire a chi chiede se la città può sentirsi al riparo da un’altra calamità come quella del 1994?
Per ragioni di tempo, finanziamenti e complessità di progettazione non riuscimmo a realizzare le casse di espansione. E le giunte che seguirono non presero il testimone di quella che ritengo anche oggi e forse più di allora, una priorità. Non si può pensare che gli argini bastino, soprattutto perchè oggi hanno quasi 30 anni di vita. Non c’è più stata la sensibilità della messa in sicurezza della città e non è stata compresa la grande utilità di questi strumenti straordinari a difesa del capoluogo.