E’ uno svuotamento lento, quasi alla spicciolata, che nel giro di due anni ha visto ridursi la popolazione del campo rom di via Guerra. Le persone che lo abitavano, in condizioni indescrivibili in quanto a degrado, sono passate da oltre 250 a meno di cinquanta.
Oggi sono solo più 9 le famiglie che vivono là e attendono con ansia di poter abbandonare quel lembo di terra in cui si concentrano le peggiori condizioni di vivibilità dell’intera provincia. «Contiamo di chiudere il campo entro la fine di giugno – afferma il sindaco Rasero – Per le famiglie ancora presenti i nostri Servizi sociali in collaborazione con l’Associazione 21 Luglio stanno lavorando alacremente per trovare soluzioni dignitose. Come successo per le altre prima di loro che ora vivono altrove».
L’altrove è in casa popolare oppure in case di affitto con contributo del Comune oppure ancora in totale autonomia. «Alcuni di loro, e sono diversi, che hanno una piccola attività di raccolta ferro – spiega Rasero – hanno acquistato delle vecchie case o porzioni di cascina nei dintorni di Asti, le hanno ristrutturate e si sono trasferiti lì».
Una larga fascia intorno al campo è già stata assegnata alla vicina azienda che si occupa di smaltimento di rifiuti inerti ed è rimasto solo il “cuore”. Che oggi si presenta come una discarica a cielo aperto. Infatti, per ogni famiglia che se ne è andata dal campo, il Comune ha provveduto (o talvolta hanno provveduto gli ex occupanti stessi) ad abbattere le baracche con le ruspe lasciando però lì le macerie per evitare nuove occupazioni. Così oggi le nove famiglie ancora in attesa vivono in un campo desertificato e punteggiato da montagne di macerie.
«Abbiamo intrapreso una modalità di sgombero che è diventata un progetto pilota per tutta Italia – afferma Rasero in riferimento alla collaborazione con l’Associazione 21 Luglio – senza prepotenze nè conflitti sociali. Vorrei sottolineare che, da quando abbiamo intavolato questo programma ragionato di allontanamenti, non vi è stato più un solo rogo. Da due anni a questa parte. Ed è fortemente risalita la percentuale di bambini rom che frequentano la scuola. Anche grazie alla reistituzione del pulmino al campo».
Ancora qualche settimana e quel campo sarà solo il ricordo di un “non luogo” durato troppo a lungo.
«Ma non finirà tutto con lo sgombero completo – ricorda il sindaco – Abbiamo acquisito un finanziamento di 1 milione e 400 mila euro spalmato su tre anni che impegnerà assistenti sociali, educatori e altre figure del benessere dei bambini nel seguirli in un processo di integrazione, scolastica e sociale».
Fra chi ancora vive lì: “Nessuno ci affitta casa o la vende appena sentono il cognome. Non ci vogliono qui e non ci vogliono altrove”
L’atmosfera da “ultimi” è ben presente nel campo. Da due anni a questa parte hanno visto andarsene, poco per volta, le altre famiglie e, ad ogni partenza, hanno visto arrivare le ruspe del Comune che radevano al suolo le baracche intorno a loro.
«Io ho cinque figli e faccio il raccoglitore di ferrovecchio – racconta uno di loro – Potrei anche pagare un piccolo affitto, magari in una casetta intorno ad Asti, senza tante pretese. Ne abbiamo anche trovate che andavano bene, ma come sentono il cognome rom, non mi danno neppure appuntamento. Qui non ci vogliono più, ma nessuno ci affitta casa. Cosa dobbiamo fare?».
Con il progetto di sgombero completo del campo, non sono stati fatti più lavori di manutenzione e la vita per i pochi rimasti non è semplice.
«L’acqua corrente arriva, ma non a tutti arriva invece la corrente elettrica. Non parliamo poi dei bagni che da quasi un anno sono fuori uso. Qui, quando devi fare qualcosa, attraversi la strada e ti “liberi” in natura. A qualsiasi ora e con qualsiasi tempo».
Vale la pena parlare direttamente con loro per sfatare uno dei pregiudizi più diffusi ossia quello secondo il quale la vita nel campo è una scelta difesa a tutti i costi.
«Non è vero, avessimo avuto la possibilità saremmo già andati a vivere in una casa vera da tempo. Nessuno vorrebbe vivere qui – racconta una donna madre di tre figli – Basta guardarsi intorno per capire che ogni giorno lottiamo contro caldo, freddo, scomodità, topi ovunque, rischi di malattie per i bambini che vivono nel pericolo costante. Ma per vivere nelle case vere ci vogliono soldi e persone disposte a vendere o affittare ai rom».
E poi quella frase che spacca il cuore, detta da una bambina del campo che sogna una “casa italiana”, (così identifica le abitazioni in muratura).
«A scuola c’è un bambino che mi dice sempre che devo andarmene via, che non devo stare in classe. A me invece piace studiare. Potete parlargli e dirgli di smetterla di dirmi quelle cose?».
(Photogallery Ago)