Sembrava una cosa archiviata invece non sembra così.
La “pratica” era quella che riguardava la volontà del Ministero di Giustizia di realizzare il raddoppio di un padiglione al carcere di Asti per aggiungere altri 120 posti per nuovi detenuti. Una richiesta che si era affacciata nel settembre del 2020 e che aveva visto la struttura penitenziaria di Asti nella rosa dei 7 sui quali far calare i progetti di raddoppio.
Era stata comunicata questa intenzione al Comune di Asti chiedendo di attivare la procedura di accertamento della compatibilità urbanistica ed edilizia per la realizzazione del padiglione aggiuntivo.
All’epoca i funzionari del Comune di Asti avevano opposto una serie di osservazioni di natura tecnica.
In via principale il fatto che il carcere si trovi in una classe di rischio idrogeologico elevato, sistemato sulla piana che divide il Tanaro dall’abitato della frazione Quarto Inferiore. E poi, non ultima, la contrarietà di tipo più politico che affondava la sua ragione sulle evidenti ricadute sociali negative visto che l’arrivo di altri 120 detenuti avrebbe aumento di un terzo la popolazione carceraria già in regime di sovraffollamento.
Un dissenso tecnico e politico che era stato fatto presente in tutte le riunioni ma del quale il Provveditore interregionale per le Opere Pubbliche non aveva tenuto conto approvando ugualmente l’ampliamento del carcere per gli aspetti di competenza urbanistica.
A quel punto il Comune di Asti aveva fatto ricorso al Tar del Lazio per eccesso di potere, per travisamento dei fatti e perché il Provveditore non aveva motivato sufficientemente la prevalenza dell’interesse dello Stato sull’opera rispetto al parere contrario del Comune di Asti. Soprattutto per quanto riguarda un’argomentazione tecnica e inconfutabile come il rischio ideogeologico.
Come è finita? Che il raddoppio del padiglione non si è fatto con grande gaudio del sindaco Rasero in rappresentanza di tutta l’amministrazione comunale insieme all’allora Garante per i detenuti di Asti e a quello regionale. Ma la vicenda resta ancora in piedi.
Il Tar del Lazio, infatti, appena un mese fa, ha risposto al ricorso, dopo anni, chiamandosi fuori perché non competente territorialmente in quanto le vicende puramente urbanistiche dei Comuni devono essere trattate dai Tar regionali di competenza. In questo caso del Piemone. Senza esprimersi sul merito.
Ed è per questo che motivo che pochi giorni fa il Comune, per scongiurare il rischio del raddoppio del padiglione ancora formalmente valido, ha mosso le stesse osservazioni già inviate al tribunale amministrativo romano a quello del Piemonte per far esaminare la questione nel merito e nella speranza di poter definitivamente respingere il progetto.