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Autismo, viaggio in quella patologiadel comportamento frutto della "tempesta perfetta"
Attualità

Autismo, viaggio in quella patologia
del comportamento frutto della "tempesta perfetta"

Mercoledì 2 aprile Asti, insieme ad altre città italiane, si è tinta di azzurro in occasione della Giornata mondiale contro l’Autismo. Una sindrome di cui ancora di conosce poco, che porta il

Mercoledì 2 aprile Asti, insieme ad altre città italiane, si è tinta di azzurro in occasione della Giornata mondiale contro l’Autismo. Una sindrome di cui ancora di conosce poco, che porta il soggetto a chiudersi in se stesso, a rifugiarsi in un guscio al riparo dall’ambiente esterno in un isolamento a diversi livelli di intensità. Si calcola che in Piemonte, come in altre realtà italiane, la patologia nelle sue diverse forme interessi 1 soggetto ogni 150, in età minorile. La diagnosi arriva entro i primi tre anni di vita del bambino ed è quasi sempre un vero trauma per le famiglie che dopo aver condiviso una crescita pressoché normale delle funzioni fisiologiche e neurologiche del proprio figlio cominciano ad un certo punto a riscontrare la casistica sintomatica di questa patologia: ritardo del linguaggio, ripetitività dei comportamenti, rifiuto di interagire con gli altri, giusto per citarne alcuni.

Ma cos’è esattamente l’autismo? Per capirlo ci siamo rivolti all’Associazione Missione Autismo (A.M.A.) di Asti, presieduta da Paola Bombaci, professoressa di liceo e mamma di un ragazzo autistico. La definizione offerta è quella espressa dalle Linee Guida per l’Autismo della SINPIA (Società Italiana Neuropsichiatrica dell’Infanzia e dell’Adolescenza), ossia che l’Autismo, chiamato in origine sindrome di Kanner, è «una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato con esordio nei primi tre anni di vita. Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri».

Secondo la comunità scientifica internazionale è quindi un disturbo neuro-psichiatrico che interessa la funzione cerebrale, che implica nel soggetto anomalie negli ambiti relativi al comportamento e agli interessi che appaiono generalmente ristretti e ripetitivi. L’Autismo è un disturbo che rientra nella più ampia categoria dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS). Caratteristica comune dei bambini affetti da autismo è l’incapacità di mettersi in rapporto con l’ambiente nei modi  tipici dell’età, fin dai primi mesi di vita. I genitori descrivono i propri figli come “auto-sufficienti” o “felici di stare da soli”, bambini che hanno una predisposizione a isolarsi e a non recepire i segnali relazionali provenienti dall’esterno (non reagiscono al suono del proprio nome) tanto che spesso la ragione della prima consultazione medica è il sospetto di sordità.

Le cause dell’insorgenza di questa sindrome non sono ancora state individuate con precisione anche se negli anni qualche traguardo sulla conoscenza di questa patologia è stato raggiunto. Innanzitutto, come spiega Michela Domanda psicologa dell’AMA la sindrome è dovuta ad «una condizione organica, ad un malfunzionamento delle cellule celebrali». Confutata dunque la teoria della “madre frigorifero”, che negli anni Cinquanta imputava l’insorgenza della sindrome ad un rapporto anafettivo con la madre. A cosa però sia dovuto il danno organico non è stato ancora chiarito. Periodicamente torna in auge l’ipotesi di una correlazione tra il vaccino trivalente anti-morbillo, parotite e rosolia e l’insorgenza della sindrome autistica ma l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) in un vademecum pubblicato a settembre 2013 esclude un legame di causa-effetto.

Secondo recenti ricerche è possibile che l’Autismo sia causato da un insieme di più fattori che manifestandosi insieme causano la cosiddetta “tempesta perfetta”. Secondo alcune ipotesi l’insorgenza della patologia è dovuta a fattori genetici anche se al momento non si conoscono ancora esattamente i geni e le mutazioni genetiche responsabili o come esse operino. «Se sulle cause navighiamo nella nebbia, oggi si sa come intervenire con certezza scientifica per aiutare il bambino ad integrarsi nell’ambiente in cui vive» spiega Paola Bombaci. Per il momento non esistono, infatti, cure ma linee di trattamento per correggere ed educare il comportamento, come per esempio le linee guida dell’ABA (Applied Behavior Analysis) ossia l’Analisi Applicata del Comportamento, che si fondano sull’analisi sperimentale del comportamento e che puntano ad individuare le leggi che regolano il comportamento umano.

«Buone pratiche per l’educazione di un bambino o ragazzo autistico possono essere legate alla strutturazione del tempo e dello spazio. Come insegnargli a portare a termine un compito da solo, attraverso l’utilizzo di immagini e disegni perché sia più autonomo» chiarisce Paola Bombaci. «Si cerca di modificare il comportamento. Si fa una valutazione delle preferenze del bambino e si lavora con lui su i suoi interessi. Questo è un’ottima strategia di interazione». Quella che deve essere garantita è però la costanza e la continuità del progetto educativo perché i tempi di applicazione del metodo ABA sono lunghi, almeno di 20 ore la settimana.

In questo un ruolo determinante lo gioca la scuola dove il ragazzo passa buona parte del suo tempo ma spesso l’offerta didattica non è all’altezza delle problematiche dello studente. «In molte scuole astigiane ci sono insegnanti splendidi, che si prodigano nell’educare e nell’inserire i nostri ragazzi – spiega Silvia Biamino, una mamma – il problema è il sistema scuola che non tiene conto delle peculiarità dell’autismo. Di ragazzi che non comunicano attraverso i normali canali e che faticano a seguire o a partecipare alle lezioni. In questo occorrerebbe maggiore flessibilità, elaborare programmi didattici personalizzati».

Chiarisce Paola Bombaci: «il ragazzo deve essere inserito nella classe, con gli altri coetanei ma sarebbe opportuno costruirgli un progetto educativo ad hoc parallelo al programma standard». Una rete fluida ed efficiente tra famiglia, scuola, Asl, neuropsichiatra e privati (cooperative e associazioni) sembra fondamentale. «Bisogna intervenire in aiuto dei ragazzi ma anche le famiglie vanno supportate – aggiunge una mamma – e non lasciate sole ma anzi. Formate a gestire e supportare un figlio con autismo. In questo, forse, ci vorrebbe più attenzione».

Lucia Pignari

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