Franco Musso era presente allo scoppio
«Ho quasi 84 anni, ma ancora oggi non riesco a sopportare l’odore della carne alla griglia. Mi ricorda troppo da vicino quell’odore che ho ancora vivo nella memoria, nonostante siano passati 75 anni».
A parlare è Franco Musso, storica anima di Radioasti nella veste di testimone oculare di una delle pagine più drammatiche della storia astigiana, quella che vide la morte di nove giovanissime operaie arse nel rogo della fabbrica di penne stilografiche del 1944.
Nove ragazze che la città ha imparato a conoscere con il soprannome di “Brusaje”.
Sono il simbolo astigiano della Festa delle Donne, che come noto è stato istituito per ricordare le tante, troppe donne, vittime sul lavoro.
Era nel negozietto di radio
Franco Musso, all’epoca ragazzino di 9 anni, si trovava a pochi metri dallo stabile in cui trovarono la morte le operaie.
Quel 22 agosto 1944, si trovava nel suo negozietto preferito: attratto dal mondo della radio conosciuta grazie al maestro Lavagno, si era messo in testa di costruirne una lui, artigianalmente, e ogni volta che riusciva a raggranellare qualche lira, la andava a spendere in un piccolo negozio di via Antica Zecca che vendeva parti e componenti utili per realizzare la radio a galena.
Radio a galena per ascoltare Radio Londra
Radio che, una volta realizzata nella camera-laboratorio della casa del Fontanino in cui abitava con i genitori, servì per captare le trasmissioni di Radio Londra che venivano poi trascritte su foglietti arrotolati e infilati nei piccoli interstizi dei pioppi dell’attuale via Sandro Pertini per essere recuperati dalla rete clandestina di informazione.
«I soldi me li guadagnavo spingendo su per la salita del Fontanino la bicicletta carica di bottiglie di latte destinate alla Centrale – racconta Musso – e andavo a spenderli nel negozio di via Antica Zecca per comprare pezzi utili alla radio. Quel giorno mi trovavo lì, verso sera, quando sentimmo tutti una forte esplosione provenire dalla Stilar, a poche decine di metri di distanza».
L’esplosione alla Stilar
La Stilar era una fabbrica astigiana di costruzione di penne stilografiche che impiegava una decina di operaie in uno stabile che si trovava all’incirca dove oggi sorge l’ex Mutua in via Orfanotrofio.
«Mi precipitai fuori dal negozio e raggiunsi in pochi istanti la fabbrica dalla quale usciva del fumo nero – ricorda Musso – Ricordo che un’operaia, per sfuggire alle fiamme si gettò dal balcone del primo piano perché la porta di ingresso era chiusa a chiave dall’esterno. Fu questo particolare e segnare il triste destino di quelle donne».
Porta sbarrata dall’esterno
«Ricordo bene l’intervento dei Vigili del Fuoco, chiamati da qualcuno nell’allora comando ospitato al Casermone, ma quando arrivarono per le nove giovanissime donne non c’era più niente da fare. I pompieri sfondarono la porta dall’esterno e trovarono le nove vittime abbracciate vicino a quell’uscita criminalmente bloccata».
Intorno tanti vicini del piccolo stabilimento che facevano commenti sull’ineluttabilità di quanto accaduto. Tutti erano convinti che prima o poi qualcosa di grave sarebbe capitato.
Non crede alla versione ufficiale della tragedia
Quello di Franco Musso è però non solo un ricordo di un evento di cui fu testimone oculare, ma anche l’occasione per ribadire che secondo lui la versione ufficiale che venne redatta come causa dell’incendio non corrisponde a quanto realmente accaduto.
«All’epoca non vennero fatte ulteriori indagini, né qualcuno indagò sul fatto che il portone fosse chiuso dall’esterno. Tutto venne liquidato con un secco comunicato che riconduceva la disgrazia alla manovra maldestra di un manutentore che fece cadere un pezzo di ferro rovente in una cassa di residui di celluloide. Ma io non ci ho mai creduto. Questa ricostruzione spiegherebbe l’incendio, ma non la forte esplosione che sentii io come tanti altri nella zona».
E allora cosa poteva esserci di esplosivo in una fabbrica di penne stilografiche?
Una fabbrica di penne caricate con esplosivo?
«Da frammenti di testimonianze e racconti successivi – spiega ancora Musso – mi sono convinto che là dentro le operaie stessero realizzando delle penne esplodenti. Penne stilografiche, per intenderci, con piccole cariche al posto della cartuccia di inchiostro che si attivavano ed esplodevano quando si toglieva il cappuccio. Piccoli ordigni realizzati per alimentare la strategia della tensione tanto amata dai tedeschi per poter addossare colpe soprattutto ai partigiani. Solo questo giustifica la forte esplosione e il portone chiuso a chiave per far lavorare le ragazze in totale segretezza».
Una cartuccia esplodente difettosa, un movimento brusco, una caduta: chissà cosa ha provocato lo scoppio e l’incendio nel quale perirono Piera Gallo di 14 anni, Olga Bona d 15, Maria Della Piana di 16, Ester Romele di 17, Ada Gamba di 18, Rosina Mossino di 19, Giuseppina Giai Minetti in Tartaglino di 20, Alda Longo di 20 e Rosa Ercole di 23 anni.
Appello per trovare negli archivi i verbali dell’epoca
A distanza di tutti questi anni, il testimone oculare si chiede se in fondo a qualche archivio cittadino, di Questura o Vigili del Fuoco, non ci sia ancora un verbale che, seppur secretato, possa finalmente raccontare come andarono veramente le cose.
Non chiamatele brusaje
E poi una considerazione amara. «Perché è stato scelto il termine “brusaje” per identificare quel gruppo di povere operaie vittime? – stigmatizza Musso – in dialetto è un termine che ha molte accezioni spregiative. E’ una parola indelicata e volgare che non rende giustizia alla tremenda fine che fecero quelle ragazze».