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Canelli

Canelli, un giorno nell’hub vaccinale alla palestra di via Bosca

Novanta minuti esatti dall’ingresso all’uscita, anamnesi e iniezione compresi. Con un giudizio positivo su tempi e personale

Palestra di via Bosca. E’ un venerdì piovoso. Il parcheggio è saturo di auto, ma non c’è ressa. Al grande hub vaccinale, quattro corsie dedicate alle inoculazioni, approdano i cosiddetti “soggetti fragili”.

Ci sono giovani, persone di mezza età, anziani, chi deve usare la carrozzella, uomini e donne accompagnate perchè con difficoltà motorie. All’ingresso un addetto della Protezione Civile misura la temperatura e procede all’igienizzazione delle mani. Un altro volontario ti accompagna al banco dell’accettazione: numero, scheda-report da compilare.

Poi, ordinati, ci si siede in attesa del proprio turno. Dentro la prima tenda c’è il medico che effettua lo screening: puntuale, meticoloso, approfondito. «Ci fanno l’AstraZeneca?» chiede, tra il preoccupato e il timoroso una signora. «Sa, con quel che si sente in televisione». Il medico, paziente, spiega che no, non verrà inoculato il siero anglo-svedese, bensì il Pfizer-Biontech. «Meno male – sospira la donna -. Del “Faiser” ne parlano bene».

L‘anamnesi sulle condizioni di salute è lunga e puntuale. «Meglio di una visita dal mio dutur» scherza un inoculato che sta guadagnando l’area dei “15 minuti dopo”.

Nessuno si lamenta per l’attesa, che dura anche un’ora. «Luigi, ‘t voele ‘l giacon? A que ù fa freg» chiede, premurosa, la moglie al marito. Che fa spallucce, ma intanto si infila ‘l giacon.
Dietro la prima tenda, quando il dottore decide che sei abile a ricevere la dose, ti aspetta una crocerossina. Gentile, ti fa accomodare: camicia sul braccio alzata, un pic e “già fatto?”.

Son passati più di 90 minuti da quando hai messo piede nell’hub. Ma, una volta tanto, tutto è filato liscio, senza intoppi. Chapeu.

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