«Ma che legge è quella che ci costringe ad accogliere i profughi, a dar loro assistenza, istruzione, mezzi per comunicare con i famigliari rimasti in patria e soprattutto ad avviare un’integrazione con il nostro tessuto sociale e dopo due anni ci costringe a metterli in strada, senza più alcuna assistenza, né un documento o un prospettiva su dove andare?»
«Ma che legge è quella che ci costringe ad accogliere i profughi, a dar loro assistenza, istruzione, mezzi per comunicare con i famigliari rimasti in patria e soprattutto ad avviare un’integrazione con il nostro tessuto sociale e dopo due anni ci costringe a metterli in strada, senza più alcuna assistenza, né un documento o un prospettiva su dove andare? Per i cani, almeno, l’abbandono è vietato, per questa gente, invece, ci viene imposto.» In sintesi questo il pensiero di Adriana Bucco, sindaco di Cellarengo, sconfortata, amareggiata, ma non per questo meno arrabbiata contro le istituzioni e il sistema che ha fatto si che il suo comune, circa 700 abitanti, accogliesse, tramite la Caritas, sei profughi provenienti dall’Africa sud sahariana, avviasse per loro un processo di integrazione durato quasi due anni e infine comunicasse in questi giorni, tramite la Prefettura di Asti, che due di questi profughi, provenienti dal Gambia, dovevano essere espulsi, ma, attenzione, senza rimpatrio assistito, perché i fondi per questo tipo di operazione, almeno al momento, sono stati sospesi.
«Una cosa senza senso, se me l’avessero raccontata non l’avrei creduta possibile – dice – Abbiamo faticato per far accettare alla popolazione questi profughi e ancor più in un periodo dove siamo costantemente sotto assedio da parte di malviventi che colpiscono soprattutto la notte nelle abitazioni private, ma non solo. Questi due ragazzi, come anche gli altri quattro che forse potrebbero presto seguirli nello stesso destino, si erano dati da fare in pro loco e nelle altre associazioni, finendo per essere accettati dalla popolazione con benevolenza. Qualcuno iniziava a dar loro qualche piccolo lavoretto da fare. Uno di questi due era entrato a lavorare in una piccola azienda del paese con un progetto di formazione, subito sospeso, appena arrivata la comunicazione dalla Questura. Abbiamo chiesto spiegazioni, la gente è arrabbiata quanto dispiaciuta. Dovremmo metterli in strada senza assistenza dopo averli accuditi per due anni, per far posto ad altri che magari faranno la stessa fine.»
Senza posto dove andare, senza soldi, il timore del sindaco e degli altri cittadini del paese è che i due ragazzi, per quanto sulla strada dell’integrazione, possano finire in qualche brutto giro. «Qui a Cellarengo, come in tutti i comuni dell’astigiano ormai – continua la Bucco – abbiamo seri problemi di sicurezza. Stiamo cercando di attivare un servizio di videosorveglianza comunale, ma a cosa può servire se poi siamo noi stessi a generare potenziali criminali?»
E’ il vice prefetto Reggente Ponta a spiegare l’accaduto: «Per quanto possa essere spiacevole quanto sta accadendo e comprensibile di per sé anche lo sfogo del sindaco, umanamente parlando, la legge italiana e il nostro governo, in conseguenza anche di accordi internazionali, prevedono l’accoglienza dei profughi che arrivano sul nostro territorio in base ad un percorso che prevede tre gradi di ammissibilità ben definiti: l’asilo politico, in conseguenza di riconosciute cause collegate allo stato di provenienza e all’attività politica esercitata dal soggetto, la protezione sussidiaria, valida solo in Europa, per i casi riconosciuti di particolari situazioni personali e infine il permesso umanitario legato a problemi di instabilità o guerra persistente nel paese di provenienza. Se uno non rientra in questi tre casi viene dichiarato rimpatriabile. In precedenza si procedeva al rimpatrio assistito, ma attualmente non ci sono fondi destinati a tale operazione».
Franco Cravero