A Cunico anche quest’anno l’Orso di “sfojass” non è sceso in strada in occasione del Carnevale. Questa singolare maschera, dopo quarant’anni di silenzio, era tornata a caratterizzare i festeggiamenti carnevaleschi del piccolo paese a partire dal 2007, nell’ambito di un progetto, a livello regionale, di recupero e valorizzazione di un singolare patrimonio immateriale ? gli animali da spavento ? oggetto di arcaico divertimento. L’orso carnevalesco era realizzato con foglie di granoturco inumidite e opportunamente arricciate con i denti della forchetta con la stessa tecnica con cui si ottengono i riccioli di burro. Le foglie di granoturco venivano poi cucite su una tela, a file regolari, fitte fitte da simulare il folto pelo dell’orso. Mentre il volto era nascosto da una maschera di cartapesta, la testa era incappucciata con lo stesso costume fogliato che ricopriva il corpo. Una catena al collo, strattonata dal domatore, faceva emettere urli spaventosi all’orso che, tentando la fuga, spaventava la gente al seguito, soprattutto le donne e i bambini. Più tardi in piazza, a conclusione della goliardica messa in scena, in un vaso da notte spalmato con mostarda molto cotta e quindi dal colore scuro, si mettevano dei salamini ed, infine, della polenta, mentre un altro vaso da notte veniva riempito di moscato. Al Festival delle Sagre nel 2017 la Pro loco di Cortazzone, nel far rivivere i riti carnevaleschi nelle campagne astigiane, aveva riproposto anche l’orso di meliga.
A Cocconato un tempo c’era la tradizione del falò per Carvé vej, nella prima domenica di Quaresima. Nella frazione Vastapaglia, sino a metà degli anni Cinquanta vi era, il martedì grasso, la curiosa usanza dell’Uomo selvatico. Quel giorno un contadino andava a potare le viti e successivamente veniva catturato da un gruppo di abitanti della borgata, che dopo averlo legato con una robusta corda lo riportavano a casa, costringendolo a dare da bere e mangiare a tutti i borghigiani. Il rito aveva inizio la domenica precedente il martedì grasso con le questue fatte da uomini e ragazzi per le case di Vastapaglia e della vicina Tani: quanto raccolto serviva per organizzare la cena.
A Piea sopravvive la tradizione dei Magnin, attestata un tempo in diversi paesi dell’Astigiano (fra cui Montechiaro, Corsione, Capriglio, Castellero); un gruppo di giovani con il volto nero di fuliggine li rappresentano in mascherata, andando di casa in casa, suonando, cantando e percuotendo latte, pentole e tegami, raccolgono cibarie per la cena di carnevale, manifestando alla padrona di casa il proprio disappunto se l’offerta è nulla o scarsa. L’ultimo venerdì di Carnevale a Montechiaro i diciottenni del paese praticavano il rituale dei Magnin, che rappresentava per essi la consacrazione alla virilità; quel giorno annerite le facce e le mani, indossati vecchi vestiti, armati di bastoni e di pezzi di lamiera, i giovani si sparpagliavano a squadre per il paese e con canti sbatacchiamenti e girotondi sollecitavano doni di cibi e bevande, con cui preparare la festa dell’iniziazione.
Ormai da dieci anni a Castelnuovo Don Bosco non si svolge più, per la complessità organizzativa e motivi di sicurezza, la sfilata dei carri allegorici e gruppi mascherati, che costituiva una grossa attrattiva del Carnevale castelnovese. Il corteo partiva dalla casa di soggiorno San Giuseppe, di modo che anche gli ospiti potessero essere coinvolti nella festa, e raggiungeva piazza Dante tra due ali di folla. A Piovà Massaia la sfilata dei carri allegorici si è svolta sino intorno al 1990: gli stessi carri, con opportuni adattamenti ((grappoli d’uva, tralci di vite, fiaschi, ecc.) venivano riutilizzati a settembre per la festa dell’uva.