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Paolo Lanfranco
Attualità
Intervista

Paolo Lanfranco: «Non posso rinunciare alla mia libertà di parola»

L’ex presidente della Provincia di Asti analizza la situazione politica locale anche alla luce del post voto: «Hanno perso i partiti»

Paolo Lanfranco, fino a pochi giorni fa presidente della Provincia di Asti, è già tornato al suo lavoro all’Agenzia delle Entrate. Concluso il terzo mandato da sindaco di Valfenera, è decaduto dalla guida dell’Ente provinciale lo scorso 12 giugno. Non prima di aver animato l’ultimo anno di vita politica astigiana, in particolare gli ultimi sei mesi, diventando protagonista di vivaci querelle in contrapposizione al sindaco di Asti Maurizio Rasero e al presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti (nonché del polo universitario di Astiss, del GAL Basso Monferrato e della Fondazione Musei) Mario Sacco, per poi decidere, pochi giorni prima delle elezioni amministrative, di dire addio alla Lega, il partito nel quale ha militato per oltre 30 anni. Facendo questo Lanfranco è diventato, per molti, il simbolo della lotta a quello che molti definiscono “il metodo Asti”, il fatto che le posizioni di potere siano concentrate in poche persone, indicativamente sempre le stesse da anni, impedendo un ricambio non solo generazionale, ma anche di idee e priorità.

È successo qualcosa dopo che “ha preso atto del reciproco imbarazzo” che le avrebbe provocato restare nella Lega? Ci sono state reazioni?

In realtà con quelle parole ho voluto denunciare che il partito da molto tempo non fa più politica coinvolgendo la base, la militanza e gli amministratori se non come cassa di risonanza della politica nazionale. Purtroppo questo atteggiamento comunicativo ha anche contagiato la politica regionale e le amministrazioni locali che dovrebbero invece guardare alla concretezza e alla risoluzione dei problemi, magari favorendo un confronto tra chi ha sensibilità diverse. Se non si fa questo è naturale che cresca la disaffezione da parte dell’elettorato, non solo la mia.

La Lega si aspettava che lei si adeguasse?

Sono io che non mi sono adeguato alla Lega. Il partito non mi ha mai chiesto nulla, né mi ha ostacolato quando ho preso posizioni che gli ho servito su un piatto d’argento affinché potesse dire qualcosa di effettivamente politico. Ma non è mai successo. D’altronde se fai l’amministratore pubblico devi scegliere se andare in giro a fare selfie in tutti gli angoli dell’Astigiano o del Piemonte, oppure lavorare. Non si può fare entrambe le cose. Io mi sono trovato a disagio rispetto a questo modello e mi sono allontanato.

Si sarebbe mai immaginato di diventare un simbolo dell’antisistema? Che avrebbe acceso una forte contrapposizione al “metodo Asti”?

Mi sono formato come coscienza civica e attitudine politica molto giovane quando frequentavo le prime sezioni della Lega, all’inizio degli anni ‘90. Ricordo perfettamente le monetine lanciate a Craxi all’Hotel Raphael. Era un momento di rinnovamento, poi tradito da fatti, ma credo che i valori più nobili cui guardare siano quelli della Resistenza e della Costituzione. Il mio ex partito, la Lega, è diventato di destra, ma all’inizio non era così. Io non ho la sensibilità di destra, non sono un rivoluzionario, ma sono uno che prova profonda insofferenza davanti alla violazione della democrazia sostanziale. Mi dà fastidio che l’abbiano vinta quelli che assumono decisioni e condizionano la vita pubblica sulla base del tornaconto personale, anche nelle piccole cose. Credo che sia necessario un risorgimento nei valori.

Eppure, alla fine, nonostante alcuni tentativi di rilanciare i valori democratici di cui lei parla, sembra che al popolo stia bene così.

Ormai è dominante il senso di impotenza, cosa che sento anch’io, Non pensavo da solo di ribaltare qualcosa e direi, visti i risultati, che non l’ho fatto. La democrazia non è, secondo me, io vinco e faccio quello che voglio, tu hai perso e stai zitto fino al prossimo giro, ammesso che ci sarà. La democrazia è soprattutto l’atteggiamento con il quale ci si confronta. L’atteggiamento dev’essere sempre quello di mettersi al servizio e non di imporsi.

Nelle ultime elezioni comunali di Asti ha vinto il sindaco Rasero e hanno perso i partiti. Sembra che l’uomo solo al comando sia un metodo di governo premiante.

Ha stravinto l’uomo forte perché nel centrodestra i partiti hanno perso. Eppure la Costituzione ci dice che in democrazia i partiti hanno un ruolo insostituibile per il suo funzionamento sostanziale. È questo che contesto loro di non fare, non a caso hanno raccolto un risultato addirittura inferiore a cinque anni fa. Se diventi ininfluente e i numeri dicono che i partiti lo sono, il potere e la gestione della città, quindi della Provincia, è nelle mani di un gruppo “civico” che rivendica il civismo. Ma attenzione, il civismo non è un valore positivo in assoluto; è sempre una questione di interessi e bisogna capire quali siano.

Lei ha sempre sostenuto la necessità di rimettere al centro dell’azione politica locale gli Enti di area vasta, come le Province, che in passato sono state accusate di essere solo uno spreco di denaro. Ha chiesto che si restituisse loro “la dignità” e ora, con la pianificazione delle opere legate al PNRR, si scopre che possono davvero essere strategiche. Una beffa?

Premesso che il mio mandato da presidente è iniziato praticamente con lo scoppio della pandemia, abbiamo lavorato per portare avanti tutto ciò che ci compete sul fronte della sicurezza nelle scuole e nelle strade, ma sul piano politico abbiamo cercato di rilanciare l’autorevolezza e la dignità dell’Ente con un tentativo di ricostruire la fiducia nello stesso da parte di cittadini e amministratori. Non dimentichiamo che la Provincia, ai sensi della Legge Del Rio, è la Casa dei Comuni e il suo Consiglio è eletto da sindaci e consiglieri. La Provincia è però un riferimento per lo sviluppo di materie strategiche e del territorio, per la sua manutenzione, per l’attrattività di residenti e turisti.

Alla fine le Province sono state svuotate di competenze e di denaro, ma tenute in vita con una sorta di “accanimento terapeutico legislativo”. Si è deciso di non decidere che farne?

Nel corso degli anni è stato sottovalutato il ruolo delle Province in un processo di riforma del Paese che ci raccontiamo da almeno tre decenni. Ma in realtà si sta demolendo solo quello che di buono c’era e questo è sotto gli occhi di tutti. Io sono un convinto federalista e il fatto che si sia abbandonato questo riferimento nella modalità di gestire il Paese, anche da parte della Lega, è il motivo principale per il quale mi sono allontanato dal partito. Nelle attribuzioni di competenze mi sono convinto che le Province abbiamo una funzione strategica insostituibile, a maggior ragione in un territorio come il nostro costituito da tanti piccoli comuni che non riescono a svolgere la gran parte delle proprie funzioni se non mettendosi insieme.

I suoi noti scontri con i vertici del “potere locale” hanno riguardato, tra gli altri, la gestione del Tavolo per lo Sviluppo di cui la Provincia sarebbe il principale Ente di riferimento. Lei ha contestato le modalità di gestione e di confronto di quel Tavolo fin dalle prime battute. È ancora della sua idea che si stata un’occasione sprecata?

Mi chiedo se, a distanza di un anno e mezzo da quei famosi Tavoli di Sviluppo si abbia prodotto sviluppo. Non era quello che si sarebbe dovuto elaborare in quella fase, mi riferisco ai Tavoli fatti ad Astiss. Se non si riconosce alle istituzioni il loro ruolo e si imbastiscono tentativi differenti per altre logiche, non si può arrivare al risultato. Non solo ad Asti, ma a livello nazionale, si spende, a debito, una valanga di soldi senza una visione complessiva di rilancio del Paese e di ricostruzione delle comunità.

Proprio in quel contesto aveva suggerito di affidarsi a un tecnico esperto che potesse predisporre il dossier definitivo. La sua idea era stata cassata. Ora lo stesso tecnico è stato chiamato dal Comune per redigere il dossier di Asti Capitale della Cultura 2025 riconoscendogli le competenze di cui lei stesso parlava. Quindi aveva ragione Lanfranco?

Meglio tardi che mai. Comunque il no a quella figura non era arrivato dal Comune di Asti o da Rasero.

La Regione ha deciso di ripristinare alcune tratte ferroviarie sospese, tra cui l’Asti-Alba. Anche su questo tema lei aveva cercato di confrontarsi con i vertici regionali, senza grande successo.

Ho provato a far passare la necessità di un metodo diverso nel confronto, non un continuo scontro ideologico tra chi voleva mettere le passerelle di gomma sui binari per fare la pista ciclabile, suscitando l’ilarità della Fondazione FS, proprietaria dei binari, e chi voleva il treno. Ma è stato impossibile. Leggo dai giornali che la Regione ha scelto di riattivare alcune tratte senza nessun confronto con i territori: perché scegliere Asti-Alba e non Asti-Chivasso o Asti-Casale? Quando parlo di visione parlo di un piano coerente. Il Monferrato che sviluppo può avere? Parlano solo di turismo mentre i dati demografici dicono che non essendoci servizi di tipo scolastici, di trasporto e sanitari, la popolazione va via. Si tratta di una contraddizione in termini. Un territorio per essere attrattivo dev’essere soprattutto vivo.

Qual è la sua opinione sul modo di far politica oggi?

È una bulimia comunicativa di apparenza e superficialità che mi metto a disagio. È per questo che me ne sono allontanato, almeno in questa fase. Ritengo che ci sia la necessità, come ha detto anche il vescovo, di far circolare le idee e tornare a forme di partecipazione a misura d’uomo. Ma non lo dico solo io.

Il futuro di Lanfranco in politica è già scritto?

Non ho un’alternativa già costruita e questo molti non lo capiscono. C’è chi pensa che se ho lasciato la Lega è perché qualcuno mi ha garantito qualcosa di meglio, ma non è così. Sono convinto di non poter dare un alto apporto politico se devo sacrificare la liberà di poter dire quello che penso, sempre nel rispetto di regole che un partito deve darsi. Nel mio ex partito sono venute meno le regole di democrazia interna e di dibattito. Comunque, citando monsignor Paglia, “il futuro coincide con il compito di portare a termine l’impegno che si è preso se si hanno ruoli pubblici”.

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