Non possiamo che apprezzare l’intento dell’Ordine degli Architetti, nel 50° anniversario della nascita, volto a lanciare un confronto sul futuro della città. L’anniversario viene supportato sia da una mostra sull’evoluzione urbanistica tra gli anni ’70 e ’80, sia da una serie di eventi e convegni che hanno l’ambizione di prefigurare l’evoluzione della città. Come gruppo consiliare, che in questi anni è intervenuto sui temi dell’urbanistica, siamo disponibili a fornire contributi e punti di vista. Sommessamente ci permettiamo di farlo sulla base degli intenti espressi da alcuni professionisti dell’Ordine e riportati da questo giornale. Pensiamo che, per progettare il futuro si debba rivisitare il passato evitando gli errori commessi, evidenziando tutte quelle “forzature” di piano e progettuali poi realizzate che, a posteriori, possiamo affermare abbiano reso meno vivibile e peggio organizzata la città: il traffico ne è la cartina di tornasole.
Sarebbe troppo lungo entrare nel merito, ci limitiamo a singoli esempi che possono aprire il dibattito dal punto di vista storico. Metà degli anni ’80 del ‘900: fu una scelta oculata e sottesa a un corretto intento pianificatorio quella di consentire l’atterraggio della Vetreria di corso Felice Cavallotti (ora Owens Illinois) a Quarto, fuori da ogni destinazione d’uso industriale? Un ex assessore all’Urbanistica ai tempi commentò: «…quando l’amministratore pubblico viene indotto a rileggere i suoi stessi indirizzi dall’operatore privato». Fine anni ’80 e primi anni ’90: fu oculata la scelta di costruire il nuovo ospedale Cardinal Massaia in località Fontanino anziché edificarlo, quale altra possibile scelta, nella piazza d’Armi zona Pilone?
E fu una scelta giusta, successivamente, quella di impegnare la stessa piazza d’Armi con una edificazione sproporzionata e spropositata? Come si può parlare di “programmazione” quando nessuna amministrazione, negli anni, ha posto e pone mano al sovradimensionamento delle aree industriali previste ovunque intorno alla città? Queste osservazioni perché nella sua denominazione l’Ordine degli Architetti contempla i termini “Pianificatori, paesaggisti e conservatori”. Si tratta di una denominazione complessiva che rimanda inevitabilmente a logiche di “Piano Regolatore”, poiché Piano e pianificazione sottendono a quei processi organizzativi dello sviluppo mirati a rendere i territori belli, armoniosi e sostenibili. Ci preoccupa quindi l’invito alle amministrazioni affinché, per il futuro, abbiano una visione volta a superare la rigidità dei Piani che non reggono il tempo, auspicando quindi maggiore flessibilità.
Noi pensiamo che i Piani non reggono la sfida del tempo poiché le amministrazioni non si cimentano, in accordo con operatori economici e anche liberi professionisti dei settori, nella rielaborazione di nuovi e moderni Piani Regolatori preferendo l’utilizzo “selvaggio” delle Varianti, (ben 39 ad Asti). Maggiore flessibilità è diventato un mantra pericoloso del modernismo, si veda la flessibilità sul lavoro con tutti i danni creati a partire dalle morti sul lavoro. Il problema non è il Piano Regolatore, il problema è semmai quello di sveltire le procedure, i tempi, i passaggi inutili e le doppie o triple letture ed osservazioni per arrivare alla definizione di un Piano.
Recentemente Carlo Ratti, di origini astigiane, curatore della Biennale Architettura 2025 e Prof. al MIT di Boston, ha affermato che nel costruire occorre sempre chiedersi “perché e per chi”. Ha aggiunto che gli strumenti urbanistici devono correggere le derive delle città odierne. In quanto per essere vivibili nei prossimi decenni le città devono saper unire sostenibilità ambientale e sociale. A nostro parere si tratta di un input per affrontare ad Asti il tema della rigenerazione urbana, non tanto per sfruttare un’occasione, quanto per provare a ridisegnare e reinventare alcuni ambiti astigiani oggi particolarmente degradati.
Mauro Bosia e Vittoria Briccarello (consiglieri comunali Gruppo Uniti si può)