Chiesta una condanna a 9 anni
Battute finali per il processo che si sta celebrando in tribunale ad Asti con un capo d’accusa che fa inorridire: imputato un padre denunciato dalla figlia per violenza sessuale su di lei quando ancora era minorenne.
Per l’uomo, un noto pregiudicato che ha scontato molti anni di carcere, il pm Masia ha chiesto una condanna a 9 anni. Con lui (difeso dall’avvocato Merlino) è imputata anche la moglie (difesa dall’avvocato Masoero) , per non aver creduto ai racconti della figlia e dunque non averla difesa dalle attenzioni morbose del marito. Accusata di concorso in violenza sessuale, per il pm va condannata a 4 anni e mezzo.
Alle richieste di condanna i due imputati non erano presenti: lui è attualmente in libertà e con la moglie si è trasferito in Sicilia.
La ragazza si è costituita parte civile
C’era invece la ragazza, oggi ventenne, assistita dall’avvocato Malabaila, costituita parte civile. Ha sentito anche l’ultima testimonianza del processo, quella del fratello che viveva in famiglia all’epoca dei fatti (nel 2016) ma che ha dichiarato di non essersi mai accorto di quanto denunciato dalla sorella, pur ammettendo che quando il padre era a casa, dormiva in cucina con la sorella mentre lui dormiva con la madre nella camera da letto.
Le violenze si sarebbero consumate durante i permessi premio del padre all’epoca detenuto: una volta al mese passava tre giorni a casa con la famiglia, in un piccolo alloggio popolare di Praia. Secondo il racconto della ragazza sarebbero state numerose le occasioni in cui il padre le avrebbe messo le mani addosso: prima con carezze poi con comportamenti sempre più “spinti”. La figlia, all’epoca ancora diciassettenne, all’inizio non si era neppure resa conto esattamente di quanto il padre le facesse. Anche perché, ha ricordato nella sua requisitoria il pm Masia, gli approcci avvenivano sempre a notte inoltrata (come confermato dal fratello che ha riferito come padre e figlia a volte bevessero e ascoltassero musica fino alle 4 di notte) e la ragazza le prime volte aveva pensato di non aver capito bene i gesti del padre o, addirittura, di averli sognati.
Ma andando più avanti, ha raccontato in denuncia, ha avuto invece ben chiari gli intenti dell’uomo.
La madre non la prese mai sul serio
Per questo ne ha parlato prima con la madre, che non l’ha presa sul serio, e poi con una zia che invece l’ha accompagnata a sporgere denuncia.
Il padre ha sempre negato di avere usato violenza sulla figlia, come pure la moglie. In mano alla difesa ci sono state, fin dall’inizio di questa vicenda, un pacco di lettere che la ragazza, anche nel periodo in cui si sarebbero consumate le violenze durante i permessi premio, aveva scritto al padre in carcere. Lettere dal tono molto affettuoso e premuroso nei confronti del padre. In aula la figlia ha spiegato di aver tenuto quel comportamento accondiscendente per paura di ritorsioni durante le permanenze a casa del padre, per “tenerlo tranquillo” e non creare problemi, anche su suggerimento della madre.
Altro tema della difesa è quello dell’invenzione pura delle violenze da parte della ragazza per avere più libertà di movimento con il fidanzatino di allora ma il pm ha sottolineato come non ne avesse bisogno visto che il padre era a casa solo qualche giorno al mese e per il resto la ragazza viveva in una famiglia totalmente priva di regole e limiti.
L’udienza è stata rinviata al 18 dicembre per le arringhe dei difensori e la sentenza.