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Cronaca

Asti cold case: 19 anni dopo l’omicidio dello chef del Ciabot, parte il processo contro il presunto autore

Identificato grazie al Dna ricavato dalla saliva lasciata sulla calza di nylon usata come passamontagna

Massacrato di botte per i soldi del Capodanno del 2000

Un cold case, un omicidio irrisolto che aveva fatto grande scalpore all’epoca in cui venne compiuto. Sia per la notorietà della vittima, sia perché fu il primo delitto astigiano del nuovo Millennio.
Bisogna infatti risalire al 2 gennaio del 2000 per ricordarsi della morte di Piero Beggi, lo chef del ristorante “Il Ciabot del Grignolin” di Calliano massacrato di botte nella cantina del rinomato locale che gestiva con il socio Livio Vallarin.
E’ proprio nella cantina del Ciabot che quel lunedì mattina lo ritrovarono i ragazzi della brigata di cucina e Livio, preoccupati per la mancata apertura del ristorante. Era ancora vivo quando venne ritrovato, ma gravissimo; portato in eliambulanza al Cto di Torino decedette poche ore dopo.

Rapina finita nel sangue

Fu abbastanza chiara fin da subito la pista della rapina finita nel sangue. Beggi, infatti, che viveva in un alloggio sopra il ristorante, attendeva il lunedì per depositare in banca gli ingenti incassi fatti sia alla serata di Capodanno che nel giorno della domenica: fra i 30 e i 40 milioni di lire dell’epoca.
Indagini serrate per diverse settimane, sotto il coordinamento del pm Marrali di Casale Monferrato (Procura competente per territorio) ma nessuna rosa di sospetti.

La svolta arriva da un furto a Pavia

La svolta è arrivata 16 anni dopo l’omicidio. Ed è arrivata dalla provincia di Pavia, per un banale furto compiuto ad opera di più malviventi. Uno di loro aveva lasciato delle tracce di DNA che corrispondevano ad un astigiano: Giampaolo Nuara, 40 anni.
Come sempre accade in questi casi, la corrispondenza di riscontri finisce in un database che tiene in memoria tutte le precedenti tracce rilevate in casi irrisolti ma non associate ad alcuna persona ed è emerso il riscontro con le tracce, sempre di DNA, che vennero rinvenute e repertate per l’omicidio di Beggi. Da quel momento i carabinieri del Reparto Operativo di Asti si sono rimessi freneticamente a lavorare a questo caso componendo tutti i pezzi del puzzle.

Il Dna sulle calze usate come passamontagna

A qualche decina di metri dalla cantina del Ciabot, infatti, all’epoca del delitto, carabinieri e polizia trovarono, gettati a terra, tre guanti di cotone e tre calze di nylon da donna tagliate e annodate a formare una sorta di passamontagna per travisare i tratti del volto. Fu chiaro che erano stati indossati dai banditi (almeno tre) che avevano compiuto la rapina. E ancor più chiaro quando, su uno dei guanti, venne rinvenuta una traccia di sangue appartenente al povero chef Beggi.
Il Dna di Nuara venne rilevato dalla saliva rimasta intrappolata in una delle calze usate e poi gettate nel vialetto. Sulla sua testa pende un’accusa di omicidio volontario pluriaggravato formulato dal pm Brera della Procura di Vercelli.

A processo a piede libero

Nuara non è mai stato arrestato, solo indagato a piede libero in quanto, essendo passato così tanto tempo dai fatti, non sussistono più le esigenze di custodia cautelare.
Difeso dall’avvocato Maurizio Lamatina, nei giorni scorsi è comparso davanti al gip Basserini per affrontare il processo in rito abbreviato, così come scelto dal suo primo avvocato, Bertolino di Torino. Ma il falso allarme bomba al tribunale di Vercelli, che ha seguito di un giorno lo scoppio della bomba carta nei pressi di quello di Asti, ha fatto slittare l’udienza che è stata riaggiornata al 10 dicembre.
Nei mesi scorsi la difesa aveva richiesto che venisse ripetuto l’esame del Dna, unico elemento a carico di Nuara. Eseguito dagli esperti che hanno lavorato al caso Bossetti, ha confermato lo stesso risultato: la saliva presente sulla calza usata da uno dei banditi per la rapina mortale è di Nuara. Su quella stessa calza, peraltro, è stata trovata anche un’altra traccia biologica, questa volta appartenente ad una donna; presumibilmente la legittima proprietaria dei collant.

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