Oltre agli annunci di ricerca lavoro senza risposta nelle agenzie e sui media, c’è un altro luogo in cui l’impiego ci sarebbe ma è impossibile da assegnare. E, in questo caso, c’è pure tanta manovalanza, quanta si vuole.
Parliamo del carcere di Asti e a sollevare il velo su questo particolare aspetto della sua quotidianità è Paola Ferlauto, Garante dei Detenuti della Casa di Reclusione di Quarto (foto in gallery).
Di quale opportunità si tratta?
Intanto ci muoviamo in un contesto molto particolare, ovvero in quello di una casa di reclusione dove quasi tutti i detenuti stanno scontando pene molto lunghe e, di questi, una ventina sono ergastolani. Essendo un carcere di Alta Sicurezza, a nessuno di loro è consentito il cosiddetto lavoro esterno dunque qualunque opportunità di impiego deve essere implementata e sviluppata all’interno delle mura carcerarie.
E, grazie anche al prezioso lavoro di costruzione di “ponti” con la società esterna fatto dall’educatrice Monica Olivero, alcuni industriali astigiani si sono fatti avanti con progetti di somministrazione di lavoro all’interno del carcere. Una richiesta importante, in particolare, riguarda consistenti forniture di prodotti da forno da destinare alla grande distribuzione.
Dunque le commesse esterne ci sono, la disponibilità del committente a formare i detenuti anche, la richiesta di poter accedere a questo lavoro da parte di chi sta scontando la pena pure. Cosa manca allora?
Lo spazio adeguato. Nel carcere di Asti non vi sono locali liberi che abbiano le caratteristiche sanitarie e antinfortunistiche per essere adattate a laboratorio per prodotti da forno. E non solo. Anche se si riuscisse a ricavare, non ci sono abbastanza agenti penitenziari in servizio da poter garantire la vigilanza sui detenuti al lavoro.
Perché è così importante per i detenuti avere un lavoro?
Forse può sembrare banale e riduttivo, ma è un modo per impiegare utilmente il tempo che, in una cella, non passa mai. Poi è un’occasione importante per acquisire competenze teoriche e pratiche che, seppur in là nel tempo, possono “spendere” sul mercato del lavoro una volta espiata la pena. Infine, è un modo per guadagnare un salario, seppur modesto, per far fronte alle spese che ci sono all’interno del carcere e per inviare un po’ di soldi alla famiglia. Per coloro, poi, che hanno intrapreso un reale percorso di ravvedimento, un impiego rappresenta anche un importante riscatto personale rispetto al proprio passato.
Ma gli spazi sono il nodo anche di altri aspetti della vita del carcere, vero?
Sì, riguarda anche la piccola “popolazione” di detenuti cosiddetti comuni. Sono 8 e vivono nelle due sezioni di media sicurezza. Sono coloro che devono scontare pene sotto i 5 anni. Rappresentano un “sottomondo” all’interno del carcere dove sono separati dai detenuti dell’alta sicurezza con i quali non hanno mai contatti. Ma dei quali vivono le stesse restrizioni perché, per loro, non ci sono risorse per ristrutturare due celle che consentirebbero di recuperare spazi per la loro socialità. Parliamo di luoghi in cui giocare a carte, a ping pong, in cui accedere ad attività scolastiche ed educative. Anche in questo caso mancano i soldi per la ristrutturazione e il personale per sovrintendere alle attività. E così finiscono per fare la stessa vita degli ergastolani.
Lei vuole rispondere sulle critiche emerse in questi giorni in merito alle visite in ospedale dei detenuti.
Da più parti sono emerse allusioni al fatto che spesso i detenuti vengono inviati a fare visite specialistiche in ospedale sottraendo personale penitenziario alle normali attività di vigilanza del carcere. Intanto va specificato che al carcere di Asti il servizio sanitario funziona molto bene, con un medico di turno 24 ore su 24, un dirigente presente 3 ore al giorno, una caposala e infermieri che si turnano. Ma i detenuti seguono le stesse “code” dei normali cittadini per gli esami specialistici che in carcere non si possono tenere a causa della generalizzata carenza di medici. Visite che vengono scortate comunque da agenti assegnati alle traduzioni.
I disagi maggiori si verificano per i trasporti “in urgenza” all’ospedale. In quel caso per ogni detenuto servono 4 agenti di custodia ma se il medico di turno ritiene che serva inviare il paziente in ospedale, bisogna fidarsi del suo giudizio. Teniamo conto che il detenuto non può scegliere nulla del suo percorso di cura. E, visto che l’età media della popolazione carceraria di una Casa di Reclusione è piuttosto alta e che molti di loro invecchiano in carcere, va da sé che quello dell’assistenza sanitaria debba essere considerato un servizio non comprimibile.