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Cronaca
agricoltura

Cinghiali, ronde notturne degli agricoltori per salvare i campi di mais

Testimonianze disperate di chi ha già riseminato anche tre volte e si è visto l’intero raccolto compromesso dagli animali selvatici

«Le spiace se mentre ci parliamo mi appoggio qui al muro? Sa, sono quindici giorni che ogni notte vado a fare la “ronda” nei miei campi con il trattore per disturbarli: qualche volta con il clacson, altre con le torce, altre volte ancora basta urlargli dietro. Sono stanco, davvero stanco». Il racconto è quello di uno dei tanti agricoltori della Piana Villanovese che quest’anno sono stati “attaccati” come non era mai accaduto prima dai cinghiali che hanno fatto razzia nei loro campi e li hanno costretti a stare in piedi di notte per sorvegliare i loro campi seminati.
«Era già capitato negli anni scorsi che qualche pezzetto di seminativo fosse devastato dai cinghiali – dice Doriana Casetta, agricoltore di Dusino – ma riseminavamo e finiva tutto lì, spesso non denunciavamo neppure il danno. Quest’anno è tutta un’altra storia. Di giorno semini e di notte i cinghiali ti mangiano tutto: il mattino seguente è come se tu non avessi mai seminato.
E questo è capitato a tutti, in tutti i campi della Piana».

Il gruppo di agricoltori di Dusino che ha denunciato i danni

Molti hanno già riseminato fino a tre volte lo stesso campo, ma il risultato è sempre lo stesso: i cinghiali si mangiano tutto nel giro di qualche ora.
Ed è impensabile recintare ettari ed ettari di campi di filo elettrificato: non sempre è efficace, sarebbe un investimento troppo alto per le aziende e richiederebbe un tempo di installazione che, in questa stagione, gli agricoltori non hanno da dedicare.
La loro denuncia si può replicare per centinaia di altri agricoltori che lavorano i campi in una zona vastissima, che va dal Chivassese a tutto l’Astigiano e dintorni.
Una proliferazione incontrollata di cinghiali, forse dovuta alla relativa tranquillità dovuta allo stop del Covid anche alle battute, che sta provocando danni incalcolabili che hanno assunto le dimensioni di un’emergenza agricola dalla portata senza precedenti.

Già, i danni.
La Regione, attraverso gli Ambiti Territoriali di Caccia, i risarcimenti li stanzia «ma arrivano con un ritardo medio di tre anni e, soprattutto, si basano solo sui costi di semina – spiega ancora Doriana Casetta – Ma un conto è una piccola porzione di terreno, un conto è l’intera superficie coltivata. Se perdiamo il raccolto, come può ristorarci il solo risarcimento del seme?».
Mediamente costa dai 350 ai 400 euro seminare una giornata, fra semente e lavorazione del terreno. Una cifra già consistente di per sé ma che rappresenta, dicono gli agricoltori, solo il 10-15% del valore del raccolto a fine stagione.
Senza contare chi i campi li affitta e, a fine anno, deve pagare i canoni senza aver raccolto nulla.
«Mica si è capita ancora la dimensione del danno che i cinghiali ci stanno arrecando, solo se cominciamo a pretendere il risarcimento del “mancato raccolto” forse qualcuno si renderà conto che è a rischio la sopravvivenza stessa delle nostre aziende».

Un danno che non riguarda solo gli agricoltori, ma l’intera comunità.
Molti agricoltori hanno già annunciato che il prossimo anno sceglieranno delle colture più “indigeste” ai cinghiali, ma meno pregiate e redditizie, portando ad un impoverimento generale.
Chi il mais lo coltiva per darlo da mangiare ai bovini nelle proprie stalle, sta pensando di non seminarlo più e di acquistarlo già pronto al prezzo più conveniente, con un bel saluto a tanti anni di sforzi per filiere sempre più corte e autoctone negli allevamenti e un inevitabile aumento del costo finale della carne. Senza contare l’abbandono di una parte consistente di quei campi che oggi invece sono il vero patrimonio agricolo di tutta quella zona (e non solo).
Soluzioni in tasca gli agricoltori non ne hanno. Si invoca l’intesificazione delle battute di caccia, magari la sua professionalizzazione e l’installazione di gabbie di cattura. «Ma non siamo noi che dobbiamo trovare le soluzioni – dichiara ancora Doriana – La fauna selvatica è proprietà dello Stato e allora sia lo Stato a gestirla in modo da non danneggiarci».

La rabbia è davvero tanta, più di quanto gli agricoltori, prudenti per natura, non vogliano far trapelare.

Cinghiali ripresi in un vigneto a Canelli

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Una risposta

  1. Sono un un agricoltore che coltiva nella zona di montechiaro d Asti e comuni vicini e posso dire che da noi è la stessa cosa. Volevo precisare che il problema cosi grave da noi esiste da anni ma che nessuno se ne è mai fatto carico. Il problema non si potrà mai risolvere perché non si danno responsabilità a chi pretende di avere l’esclusiva possibilità di cacciare in quella zona, che poi sarebbe casa nostra. Se si vuole l’esclusiva si deve garantire il controllo della zona ,perché si tratta anche di sicurezza. Sfido chiunque a mandare figli o nipoti a spasso per la campagna sapendo che ci sono branchi di cinghiali. Comunque non basta cambiare cultura perché devastano anche prati, soia ,noccioleti,orti ……forse è arrivato il momento di risolvere il problema alla base. Cmq io sono Parena Piero agricoltore di Montechiaro

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