«Ho paura che capiti anche a me», «Sono nella sua stessa situazione, cosa possa fare per evitare di fare la sua stessa fine?» «Mi ha chiesto di vederci per parlare un'ultima volta, ma visto
«Ho paura che capiti anche a me», «Sono nella sua stessa situazione, cosa possa fare per evitare di fare la sua stessa fine?» «Mi ha chiesto di vederci per parlare un'ultima volta, ma visto cosa è successo a lei, non ci andrò»: queste sono gli stralci di alcune telefonate che gli operatori dell'Orecchio di Venere, il Centro Ascolto per le vittime di violenze domestiche di Asti, hanno ricevuto all'indomani della notizia dell'efferato omicidio di Canelli. E non è una novità per i volontari della struttura. «Ogni volta che si verifica un omicidio di donne per mano di ex o che ci sono iniziative di sensibilizzazione sul problema ?- spiega Elisa Chechile, responsabile del servizio che fa capo alla Croce Rossa -? noi registriamo un'impennata di chiamate al nostro numero telefonico e di affluenza ai nostri sportelli. Quasi tutte donne, quelle che chiamano: qualcuna si era già fatta viva, poi era scomparsa per qualche mese e ritorna sentendo più viva che mai la pericolosità della sua situazione mentre altre si affacciano a noi per la prima volta, spesso premettendo "chiamo per conto di una mia amica?"». E da quel momento si attiva la delicata relazione fra gli specialisti del Centro di Ascolto e le donne che vi si rivolgono; una relazione che non si esaurisce con un semplice invito alla denuncia e all'abbandono del maltrattante.
«Moltissime non denunciano perché non possono, non sono nelle condizioni economiche, logistiche e familiari per poterlo fare -? taglia corto la Chechile, che fa anche una acuta critica a tutto il sistema del sostegno a queste vittime ?- Troppo spesso si pensa alle persone maltrattate come persone ammalate, ma non è così, non si può avere un approccio medicalizzato e psicanalitico a questo fenomeno. Ad essere ammalata è la relazione, non le persone che ne fanno parte. E questo metodo tiene lontane le donne dalla denuncia, perché loro si sentono vittime di violenza (quando questa consapevolezza finalmente si affaccia) ma non malate da curare e non vogliono essere scambiate per "isteriche" con fragilità psichiche da indagare». Questa e altre considerazioni sono frutto della pluriennale esperienza del Centro che recentemente ha aperto un'altra sezione a Mondovì, ha ottenuto il riconoscimento di ente certificatore dispensatore di crediti e sta lavorando per implementare il sostegno all'altra metà del fenomeno: i maltrattanti, per la maggior parte uomini.
Il centro di Asti è l'unico aderente alla rete del numero unico 1522 a ricevere anche gli uomini (sia nella loro veste di maltrattati che di maltrattanti) e sta cercando un locale in città per poter aprire lo sportello destinato a loro per colloqui separati da quelli che si tengono con le donne. «La vera prevenzione si fa parlando di questo fenomeno ? conclude Elisa Chechile ? convincendo le donne maltrattate che non sono sole e che sono vittime di un reato. Che non hanno nessuna colpa, che non stanno scontando una "condanna" per le loro manchevolezze, che non sono "sbagliate" in mezzo ad altre donne felici e serene. E arginare le violenze in famiglia è ancor più importante ed attuale perché è uno di quei reati che non si esaurisce con l'arresto dei maltrattanti o, purtroppo, con la morte della vittima, ma rimane nell'aria e nei luoghi e i figli e i familiari si porteranno dietro per tutta la vita il "marchio" della violenza domestica di fronte alla società. E condizionerà ogni loro relazione futura».
Gli operatori del Centro sono a disposizione 24 ore su 24 in ogni giorno della settimana al numero 366/9287198 e 0141/1855172.
Daniela Peira