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Cronaca

Il divano diventa prova in tribunale
per tentare di risolvere il caso Istoc

E’ stato un percorso a ritroso quello fatto dal maresciallo Di Fazio del Nucelo investigativo dei carabinieri di Asti, quello al processo che si sta svolgendo al tribunale di Asti a carico di due

E’ stato un percorso a ritroso quello fatto dal maresciallo Di Fazio del Nucelo investigativo dei carabinieri di Asti, quello al processo che si sta svolgendo al tribunale di Asti a carico di due impresari torinesi accusati di aver nascosto a Vignole, frazione di Montafia, il corpo senza vita di Mihail Istoc, romeno clandestino deceduto nella caduta da un ponteggio in un cantiere edile. Nell’ultima udienza c’è stato un cambio di pm e alla dottoressa Chiavazza è subentrata la dottoressa Deodato, la stessa del processo contro Buoninconti. Il corpo di Vignole, ritrovato nell’estate del 2009, rimase tre anni senza nome fino a quando, dopo una serie di accertamenti incrociati, lo si associò a Istoc, scomparso proprio pochi giorni prima del ritrovamento del cadavere.

Da lì l’indagine che portò i carabinieri a controllare le ultime chiamate fatte e ricevute dalla vittima l’8 giugno 2009 e, tenendo sotto controllo quelle utenze, si arrivò a Isidor Andro, detto “Doru”, il testimone chiave del processo. Fu lui, infatti, connazionale di Istoc, a raccontare che l’amico era stato assunto in nero dai due impresari per lavorare al cantiere di via Bellucco a Venaria. Era incaricato di rimuovere l’intonaco e di fare demolizioni con un martello pneumatico ma all’improvviso cadde da un’altezza di almeno quattro metri e morì sul colpo. Sempre secondo il racconto di Doru, i due impresari avvertiti dell’accaduto avrebbero caricato il corpo dell’uomo su un camioncino della ditta e sarebbero andati a posarlo a Vignole che dista meno di 5 chilometri dalla casa di Dusino San Michele in cui vive la madre di uno dei due imputati e dove lui stesso ha un deposito per i mezzi di cantiere.

Nella ricostruzione dei vari passaggi dell’indagine fatta dal maresciallo Di Fazio basandosi sui tabulati telefonici e sulle intercettazioni, per la verità non emerge mai nettamente un coinvolgimento diretto dei due imputati, Vittorio Opessi e Marino Antonino, nella morte del povero Istoc. Ne parlano, è vero, con altri dipendenti e con le loro mogli, ma sempre come di una “storia” raccontata da Doru che avrebbe il dente avvelenato con loro per questioni di conti mai regolati. Per la prima volta però, ieri è emerso un particolare di cui ancora non si era parlato a fondo: il divano sotto il quale era stato ritrovato Istoc da un cacciatore nella piccola discarica abusiva di Vignole.

Già il medico legale aveva ipotizzato che potesse aver viaggiato con il corpo dal luogo dell’incidente e ieri è emerso che i precedenti proprietari dell’immobile di Venaria in cui si stavano facendo i lavori edili avrebbero riconosciuto in quello ritrovato a Vignole, il loro vecchio divano lasciato nella casa con l’onere dello sgombero a carico degli acquirenti. Un riconoscimento che venne suffragato anche da foto di famiglia scattate proprio su quel sofà. La difesa, invece, sostiene che i due imputati non sapessero nulla non solo di quella caduta mortale, ma anche del fatto che Istoc lavorasse in quel cantiere, forse chiamato di nascosto da un connazionale. L’udienza è stata aggiornata al 16 novembre.

Daniela Peira

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