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Cronaca
Testimonianze dirette

Nizza Monferrato: nelle parole delle donne di casa, l’inferno che ha portato all’omicidio del padre padrone

Un’udienza drammatica quella che si è tenuto nel corso del processo per l’omicidio di Akheid Sulaev da parte della figlia, oggi imputata in Corte d’Assise.

E’ stata l’udienza più sofferta quella dei giorni scorsi ad Alessandria, dove in Corte d’Assise si sta tenendo il processo a carico di Makka Sulaev, la ragazza di 19 anni che esattamente un anno fa ha ucciso il padre, con una coltellata nel loro alloggio di Nizza Monferrato. Soprattutto quando ha parlato la madre, evidentemente distrutta dalla situazione, dal ricordo di quanto accaduto, dal vedere la figlia sul banco degli imputati, dalle violenze domestiche patite in tanti anni di matrimonio con la vittima. Al punto che la stessa figlia, che ha sempre tenuto un comportamento compostissimo, è scoppiata a piangere chiedendo che interrompessero la testimonianza, perchè la madre stava troppo male a ricordare tutto il male ricevuto. Ancora una volta Makka ha dimostrato a tutti che, a dispetto della sua giovane età, il suo senso di protezione nei confronti della madre, della sorella minore e dei fratelli, non è mai stata scalfita. Un momento di grande emozione per tutti: giudici togati, popolari, pubblico, personale in servizio all’udienza. Una storia di donne che hanno sopportato l’inimmaginabile per anni e che hanno trovato il coraggio di reagire quando hanno avuto la netta intuizione di rischiare la vita. Makka lo ha sempre detto: «Se non lo avessi fermato, quel giorno mio padre avrebbe ucciso me e mia madre». A corollario delle domande, la traduzione dei messaggi di minaccia che quel giorno l’uomo inviò alla moglie e quelle profferite a voce registrate da vari telefoni sistemati in casa per dare traccia dell’inferno che si stava vivendo.

La moglie: “Sapevo che quel giorno voleva uccidermi”

«Avevo capito che quel giorno sarebbe capitato qualcosa di brutto perchè lui era fuori di sè»: Natalia, la moglie di Akheyd, vittima dell’omicidio, ha reso una testimonianza drammatica davanti al presidente Bargero e ai giudici popolari della Corte d’Assise.
«Mi aveva detto che si era licenziato dal Capo Nord per accettare un lavoro da capo cantiere di uno mai conosciuto prima. Gli ho detto che avevamo bisogno di soldi, di non fare stupidaggini e lui si è arrabbiato e per tutto il giorno è diventato sempre più violento nei messaggi e nelle telefonate».
La figlia Makka le aveva chiesto di girarle tutti i vocali dicendole, come sempre, di non preoccuparsi.
Natalia era terrorizzata, aveva chiesto a Makka e all’altra figlia di mettere in ordine la casa per non dare pretesti al marito di prendersela con loro.
E, sapendo che Makka era quella sulla quale più spesso il marito sfogava la sua rabbia, l’aveva mandata a fare la spesa, per toglierla di casa almeno fino a quando lei non fosse rientrata dal lavoro. E’ stata anche Natalia a suggerire ai figli di tenere accesi i telefoni perchè aveva capito che l’uomo aveva superato il limite della sua violenza incontrollata.
«Ho anche detto a Makka di fare attenzione e le ho chiesto di occuparsi lei dei miei figli se lui mi avesse ammazzata. Perchè ero sicura che sarebbe successo» ha detto in lacrime in aula.
Ha anche fatto un passaggio sul suo passato: «In quella famiglia non abbiamo mai vissuto in pace e Makka mi ha sempre difesa. Mio marito praticava pugilato e i miei figli ne avevano paura. Non mangiavamo mai insieme, loro lo evitavano. A casa nostra non si poteva parlare, ridere, scherzare, giocare, per non disturbarlo».
Il ricordo di quello che successe al suo rientro dal lavoro coincide con quanto raccontato dalla figlia Amina e dalla maestra. Con qualche aggiunta.
«In cucina, poco prima di mettermi il braccio intorno al collo e tapparmi naso e bocca, mi ha detto che avrebbe ucciso me, i nostri figli e chiunque si fosse avvicinato. Ho davvero temuto che fosse arrivata la fine».
E ha anche rivelato cosa stesse facendo il marito nel momento esatto in cui Makka lo ha accoltellato.
«Eravamo in camera, lui continuava a picchiarci e ha colpito con grande violenza Makka che ci divideva. Ad un certo punto siamo caduti a terra e lui si è girato verso di me per strozzarmi, come aveva già tentato prima in cucina. Non ho visto Makka prendere il coltello, ho solo visto il gesto e lui che finalmente mi lasciava».
Perchè non hanno mai denunciato la violenza domestica subita?
«Sapevo di un’altra donna, straniera, che l’aveva fatto ma dopo qualche giorno il marito era tornato in libertà e per loro è stato peggio di prima».

La sorella minore: “Ho visto papà che strangolava mamma”

Ricordi netti, risposte sicure, voce bassa ma decisa, lacrime nei racconti più duri, sguardo basso e iniziale atteggiamento impaurito scomparso grazie alla dolcezza del giudice Bargero che l’ha raggiunta in un’aula vicina, deserta, per una testimonianza protetta in videoconferenza.
Amina, la sorella adolescente di Makka, è stata la prima, a processo, ad aprire la porta su come si vivesse all’interno della sua famiglia con il padre padrone che si ritrovavano.
Le prime lacrime arrivano quando le si chiede che tipo di famiglia fosse la loro: «Fra noi poche parole, avevamo sempre paura di comportarci male davanti a nostro padre, non si scherzava, stavamo nelle nostre camere per non dare fastidio. Neppure i miei fratelli maschi parlavano con mio padre. Ma era con me, mia madre e mia sorella che i rapporti erano davvero brutti».
«Arrivava sempre arrabbiato a casa e infastidiva mia madre, la provocava, la trattava male, la offendeva. Ne nascevano litigi che finivano sempre con le botte a mia madre. Makka interveniva a difenderla e spesso veniva picchiata anche lei».
Poi il ricordo del primo marzo 2024.
«Quel giorno mio padre e mia madre litigavano da ore. Io ero nella mia camera e lui era venuto a fumare e telefonare sul balcone. Ha chiamato mia madre e la minacciava di rimandarla in Cecenia, a lavorare nei campi. Questa cosa mi ha spaventato tantissimo».
Drammatico il ritorno a casa della madre, dal lavoro.
«Avevamo capito che la situazione era più grave del solito. Ho pensato di mettere il mio cellulare sotto i veli di mia madre in corridoio per registrare le voci».
L’uomo ha gridato contro la moglie che è andata in cucina. Lì lui ha presa a forza e l’ha fatta sedere su una sedia. «Le ha stretto un braccio al collo e la stava strangolando. Ho urlato e Makka è intervenuta per staccarlo da nostra madre dandogli un pugno». Lui, a questo punto prende, entrambe per i capelli e le trascina nella camera di Makka dove prende a pugni la ragazza e la moglie che tenta di difendere la figlia. Mentre l’uomo sta per sferrare l’ennesimo colpo alla moglie, Makka, da dietro, estrae un coltello e lo colpisce alla schiena. L’ultimo sguardo che Amina ricorda di suo padre è quello pieno di stupore quando si accorge che ad averlo colpito è stata Makka.
Amina si chiude in camera con i fratellini e l’insegnante e quando ne esce vede il padre a terra in corridoio e Makka seduta davanti, sola, disperata.
Poi affiora un altro ricordo che rende idea del terrore di quel giorno in quella casa.
«I miei fratelli in passato avevano visto mio padre minacciare mia madre con un coltello. Così, per paura che lo facesse di nuovo, hanno preso tutti i coltelli in casa, li hanno avvolti in uno straccio e poi li hanno nascosti sul davanzale del balcone». Ha anche confermato che il padre voleva procurarsi un’arma da sparo.

La maestra: “Ho pensato che non sarei uscita viva da quella casa”

A vedere cosa successe il primo marzo di un anno fa a casa Sulaev c’erano anche occhi estranei alla famiglia. Particolarmente importante la testimonianza di Martina, l’insegnante di Nizza che quel giorno si trovava nella camera dei due maschietti per aiutarli a fare i compiti.
E’ lei che ha fatto le due chiamate al 118 per chiedere aiuto.
«La prima l’ho fatta quando ho capito che l’uomo stava aggredendo madre e figlia. Le stava trascinando per i capelli nel corridoio e ha tirato un pugno dritto a Makka. Non so dove ho trovato il coraggio ma ho pensato “E se quelle donne fossero mia madre e mia sorella?” così mi sono messa in mezzo, gli ho detto di smetterla e lui mi ha spinto via».
La maestra è tornata in camera dai bambini ed è tornata fuori in tempo per vedere il gesto di Makka mentre accoltellava il padre. Lì ha fatto la seconda chiamata, poi dal balcone ha fischiato per attirare l’attenzione della pattuglia arrivata in strada.
«Ma bisognava aprire la porta così sono uscita, sono passata lontana dall’uomo in corridoio ancora vigile e ho aperto il portoncino di ingresso. Lui si è alzato e lo ha richiuso guardandomi in faccia. Lì ho davvero temuto che non sarei uscita viva da quella casa. Poi è svenuto e allora ho di nuovo aperto la porta e sono corsa incontro ai carabinieri».

 

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