Parlando con Domenico Quirico si capisce immediatamente che il giornalista di origini astigiane proprio non ama stare sotto la luce dei riflettori. Tra interviste e incontri pubblici, che ultimamente
Parlando con Domenico Quirico si capisce immediatamente che il giornalista di origini astigiane proprio non ama stare sotto la luce dei riflettori. Tra interviste e incontri pubblici, che ultimamente si susseguono insistentemente, sembra quasi patire il clamore mediatico che lo ha travolto in questi mesi e in modo particolare nelle ultime settimane, subito dopo la sua liberazione. Daltronde era prevedibile che linteresse nei confronti della sua persona aumentasse in maniera esponenziale a seguito della lunga prigionia in Siria durata ben 152 giorni. Unesperienza che ha saputo prepotentemente riportare lattenzione su quelli che a me piace chiamare paladini dellinformazione, vale a dire i giornalisti che con professionalità, passione e coraggio accettano di raccontare la vita di popoli che vivono situazioni di travagliate tensioni in territori teatri di guerre, conflitti e rivoluzioni anche quelle che poi degenerano, per usare proprio unespressione di Quirico, in fanatismo e lavoro di briganti. Alla categoria dei paladini dellinformazione appartengono a pieno titolo persone come Quirico, un giornalista che preferisce dipingere con le parole, talvolta magistralmente, la realtà di cui è testimone piuttosto che parlare di sé stesso.
Di mestiere faccio il giornalista, racconto storie di uomini, non sono un personaggio pubblico mi dice infatti arrivando a piedi, in compagnia della moglie Giulietta, sul piazzale della chiesa dei Santi Cosma e Damiano di San Damiano a pochi minuti dallinizio dellincontro di preghiera e di ringraziamento fortemente voluto dal parroco don Antonio Delmastro martedì scorso. Si comprende dunque che per un raccontatore di storie di uomini, come si è appena autodefinito, essere lui loggetto del racconto sia davvero una cosa inusuale. Tuttavia si mostra cordiale e disponibile a farsi intervistare per un giornale di Asti, la sua amata città, e anche se non siamo al tavolino di un bar cerchiamo ugualmente di conoscerlo un po meglio come persona proprio come avviene solitamente per i protagonisti della rubrica Un caffè con. Cercando pure di carpire qualche trucco del mestiere.
Asti è un pezzo importante della mia vita e, anche se il lavoro mi ha portato spesso geograficamente lontano, torno sempre volentieri perché mi sento orgogliosamente astigiano. Ora vivo in provincia di Cuneo, a Govone, ma fino a che era ancora viva mia mamma, e cioè fino allo scorso mese di gennaio, nei periodi in cui ero in Italia venivo a trovarla ad Asti quasi tutti i giorni. Ora in città mi restano più di qualche amico e tanti bei ricordi che abbracciano il periodo che va dalla mia infanzia alla mia giovinezza. Ad esempio conservo nel cuore con nostalgia e felicità gli anni vissuti da studente al Liceo Classico Vittorio Alfieri e recentemente posso dirti di essere stato orgoglioso di aver ricevuto la targa di benemerenza civica dalle mani del sindaco Brignolo laltra domenica in occasione del Palio. Per me è stato commovente e il primo cittadino è stato estremamente gentile nel rivolgermi questo pensiero. Non mi aspettavo davvero tutta questa simpatia nei miei confronti, dagli astigiani in particolare. A dirti la verità credevo che più nessuno si ricordasse di me e devo ammettere che mi fa piacere constatare che non è così. Ogni giorno la gente di queste terre mi sta palesando una straordinaria manifestazione di affetto e posso solo ringraziare di cuore tutte quelle persone che in questi cinque lunghi mesi non mi hanno dimenticato e hanno pregato per me e la mia liberazione. E hanno gioito insieme a me al termine di questincubo.
La carriera giornalistica di Domenico Quirico iniziò proprio nella nostra città come molti ricorderanno magari per aver letto i suoi primi articoli o per aver condiviso un tratto di cammino lavorativo insieme. Tutto cominciò dalla redazione locale de La Stampa, sotto la carismatica guida di un gigante del giornalismo come Vittorio Marchisio, da Quirico considerato un autentico maestro. E un uomo straordinario e un grande giornalista. Lui mi ha insegnato il mestiere e non dimenticherò mai ciò che è stato capace di trasmettermi per svolgere con onestà questo lavoro. Un grande consiglio di cui ho fatto tesoro e che oggi voglio ripetere a te e a quanti svolgono la nostra professione è quello di non fare mai un giornalismo indiretto. Bisogna invece andare in prima persona nei posti dove avvengono i fatti e le storie per raccontarle al meglio e non farsi mai raccontare le cose da qualcun altro per poi scriverle. Sai quali sono gli strumenti principali per un buon giornalista? Gli occhi e le orecchie per vedere e sentire e i piedi per camminare incontro alla notizia. Al contrario mi sento di dire che internet o altri strumenti della tecnologia sono lanti giornalismo per eccellenza e li considero secondari, inutili e non onesti poiché cercano di sostituirsi al modo corretto di fare giornalismo, quello cioè di andarsi a cercare le notizie là dove avvengono, senza filtri o preclusioni.
Un prezioso insegnamento, di alto valore soprattutto perché pronunciato da un uomo che pur di seguire questa sua incrollabile convinzione professionale ha visto la morte in faccia. Mentre proseguiamo la nostra conversazione, alcune persone si avvicinano a noi per salutare Quirico anche soltanto con una stretta di mano oppure avere il privilegio di una dedica personalizzata ad impreziosire un suo libro. Lui è affabile con tutti e mi svela in anteprima che darà alle stampe tra qualche settimana una pubblicazione in cui racconterà diffusamente dellesperienza in Siria: Lo sto scrivendo con il mio compagno di disavventura Pierre Piccinin.
Molto si è già detto e scritto sul periodo vissuto da rapito in terra siriana e il libro potrà svelare particolari inediti ed emozioni vissute gettando sugli eventi una luce di verità e di autenticità. In attesa di leggerlo, Quirico vuole raccontarmi un suo pensiero ricorrente nei 152 giorni da recluso fornendomi unimmagine di uneloquenza eccezionale: Avevo un pensiero ricorrente: quello di vedere la porta della stanza dove sono stato rinchiuso che si apriva e poter io stesso fare questo gesto. Vedi, una volta ho letto unintervista ad un condannato a morte che era poi stato rilasciato nelle carceri americane. Quel tale diceva che quando era tornato a casa, poiché lavevano poi liberato in quanto innocente, faceva continuamente il gesto di aprire e chiudere la porta di casa. Dopo i cinque mesi di prigionia ho capito cosa vuol dire la libertà: poter aprire la porta. Prima di salutarci, Quirico mi confessa ancora un desiderio e una volontà: riprendersi faticosamente pezzi della vita che, tra interviste e dibattiti pubblici a destra e a manca, non è ancora riuscito a riprendersi. Per me è stato un bel privilegio poter parlare con Domenico Quirico, unesperienza in grado di arricchire interiormente in maniera intensa ed inaspettata.
Bartolo Gabbio