Nei giorni scorsi in Sala Pastrone, per il ciclo “La Grande Storia a Teatro”, si è svolto l’incontro con lo storico Enrico Miletto e il giornalista Vanni Cornero, durante cui è intervenuto anche l’assessore alla Cultura, Gianfranco Imerito. Titolo dell’evento, che ha ripreso il tema del volume scritto da Enrico Miletto sul dramma vissuto dalla popolazione italiana nei territori istriani durante e dopo la Seconda guerra mondiale, è stato “Novecento di confine. L’Istria, le foibe, l’esodo”.
Presenti in sala, tra il numeroso pubblico, anche il sindaco Maurizio Rasero e il consigliere provinciale Paolo Bassi.
Le parole di Vanni Cornero
«Il 10 febbraio (oggi per chi legge, ndr) – ha esordito Vanni Cornero – sarà il giorno della commemorazione di una tristissima pagina della nostra storia. Oggi allargheremo l’orizzonte su questa vicenda ingiustificabile». Su una strage che, come altre, non succede mai in modo imprevedibile.
«Ma noi sappiamo cosa sono le foibe?», ha chiesto Cornero prima di introdurre Miletto. «Sull’enciclopedia sono classificate come inghiottitori carsici, cioè buchi o voragini – ha annotato – intorno a cui si percepisce un’aura di maleficio che dura da sempre. Tanto che, nella tradizione popolare, le foibe sono considerate le porte dell’inferno, luoghi dove non ci si avvicinava mai volentieri».
Una tragedia di cui si è iniziato a parlare tardi, un dramma con cui non si sono mai fatti i conti. Durante l’incontro è stato trasmesso anche un breve estratto dal film “Red Land” (Rosso Istria) «di cui io non sono fan perché è una narrazione densa di errori che non ricostruisce la storia di questi territori – ha sottolineato Enrico Miletto – mentre “La città dolente” del ’49 riesce a far capire la drammaticità di quello che fu un esodo forzato».
L’intervento di Miletto
Pagine di storia recente che per oltre sessant’anni è stata dimenticata, che iniziò intorno agli anni ’20 ma che esplose negli anni ’40, dal ’43 dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre quando i partigiani di Tito si vendicarono contro i fascisti che avevano duramente amministrato il territorio. «Con la dichiarazione di Pisino del 13 settembre ’43 – ha sottolineato infatti lo storico – si sancì il passaggio cruciale della cessazione di sovranità italiana nell’Istria». Un inizio di orrori non solo contro i fascisti ma anche contro gli Italiani non comunisti, che ebbe il suo apice nel 1945 con il crollo del Terzo Reich. «Un’eliminazione di massa – ha evidenziato Miletto – in cui finirono anche semplici membri dello Stato italiano, un processo politico che lasciò spazio anche a rancori personali». I partigiani crearono tribunali e, dopo processi sommari, condannarono persone che vennero gettate nelle foibe (tra le 500 e le 700 vittime solo nel 1943). Dal primo maggio del ’45 fino al 9 giugno ci fu poi l’occupazione di Trieste da parte dei partigiani di Tito: quaranta giorni di terrore durante i quali furono eliminati i «nemici certi» e anche tutti coloro considerati poco controllabili e gli italiani, giudicati «categoria a rischio». Furono molti i deportati nei campi di concentramento che scomparvero per sempre e tanti gli esuli che lasciarono la loro terra, le loro radici e i loro effetti personali (raccolti nel famoso Magazzino 18) nella speranza di tornare. Tra gli esuli noti, oltre a Nino Benvenuti, Ottavio Missoni e Abdon Pamich, anche Sergio Endrigo le cui note della canzone “1947” hanno concluso l’incontro.