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Metti un giorno in campo con Fabregas
Cultura e Spettacoli

Metti un giorno in campo con Fabregas

Un concorso sul web porta Alessandro e Stefano de La Nuova Provincia a trascorrere 48 ore a Barcellona per una full immersion calcistica. I fortunati astigiani hanno avuto la possibilità di allenarsi insieme al campione del Barcellona Cesc Fabregas. Con loro una colorata compagine composta da messicani, giapponesi e inglesi: non tutti piedi d'oro, ma il divertimento non è mancato…

“Tirare un calcio di rigore è una questione molto personale. Ognuno ha il suo modo: io preferisco calciare di interno piede, così sono più sicuro almeno di centrare la porta”. Cesc Fabregas, sublime prodotto della Cantera del Barcellona e ora protagonista nella squadra (forse) più forte del mondo, spiega così il suo pensiero e aggiunge “poi ci vuole fortuna”.
Quella che non è sicuramente mancata ai nostri Alessandro e Stefano, ospiti della Puma (di cui Fabregas è da poco testimonial) per un allenamento con il campione catalano, tramite un concorso sul web. Due giorni vissuti da protagonisti come, almeno per 48 ore, i nostri abituali idoli sportivi, coccolati, viziati e sempre al centro della scena. Una viaggio premio nella capitale del calcio, manna per due “ammalati” cronici di football.

L’arrivo è dei migliori: i due, unici italiani del gruppo di partecipanti, si presentano in terra catalana con un’ora abbondante di ritardo. Vallo a spiegare che a Linate nevica di brutto mentre in Spagna il sole si porta dietro almeno una dozzina di gradi belli asciutti e il cielo è limpido come la maglietta della Nazionale.
“Italiani, sempre in ritardo” scherzano quelli dello staff della Puma che hanno organizzato l’evento, più o meno, come se fossero i campionati del mondo di calcio. E’ quasi ora di pranzo ma la prima tappa è al nuovissimo store della Puma, l’unico in terra iberica. E qui partono subito i fuochi d’artificio: buono di spesa gentilmente offerto da consumarsi in loco. Avete presente i bambini in un negozio di giocattoli?

Dopo il pasto con il resto della squadra, che vanta elementi di sicuro valore dal Messico, due giovani giapponesi che non spiccicano una parola di inglese e hanno mamma e interprete al seguito, quattro inglesi (forse per questo Fabregas ha fatto poi lo spiegone sui rigori: a loro servirà sicuramente!), e un manipolo di spagnoli che alzeranno sicuramente il livello tecnico del team, la prima sorpresa. Si parte in bus per destinazione sconosciuta. Superata la zona portuale, la meta è presto chiara: lo stadio dell’Espanyol, seconda squadra per importanza di Barcellona, da sempre condannato al triste destino di confrontarsi contro i giganti azulgrana. La storia del club e il nuovo impianto sono solo l’antipasto, il piatto forte arriva quando la comitiva entra nel grande spogliatoio della prima squadra dove, appese in bell’ordine, trova le maglie dell’Espanyol, ognuna con il numero 10, ognuna personalizzata con il nome degli ospiti. Brodo di giuggiole.

Che prosegue, dopo avere indossato il prezioso regalo, nel tunnel che conduce al campo e, sulle note dell’inno ufficiale, con l’ingresso sul campo da gioco. Gli spalti vuoti sono comunque colmati dall’emozione e un po’ d’adrenalina entra in circolo. La perfetta macchina organizzativa messa in campo dalla casa di abbigliamento tedesca (la Puma è nata nel 1924 quando Rudolf Dassler, fratello di Adolf "Adi" Dassler, fondatore della Adidas, decise di mettersi in proprio) dà il meglio di sé il secondo giorno, quello dell’incontro con Fabregas.
Dopo un’abbondante colazione, il team Puma incontra i coach che guideranno l’allenamento. Poi la partenza verso una destinazione segreta (per garantire il massimo di privacy all’evento). Un veloce passaggio intorno al mitico Camp Nou, poi l’arrivo al piccolo ma accogliente stadio dell’Hospitalet, formazione di seconda divisione B. Anche qui, lo spogliatoio è un paese dei balocchi: ognuno trova pronto un kit completo di allenamento (anche se ci sono quasi 20 gradi e basterebbe una maglietta).

Un tentativo quantomeno azzardato di rendere un gruppo di persone visibilmente poco allenate (almeno i messicani) oppure poco inclini al gioco del calcio (a sorpresa uno dei catalani non sa nemmeno come vanno indossati gli scarpini). L’effetto cromatico però è garantito e l’ingresso in campo trionfale.
Le successive tre ore sono uno spasso tra momenti di godibile divertimento e strafalcioni calcistici da campetto di periferia che solo l’arrivo di Cesc Fabregas cancellano in un attimo. Il ragazzo è alla mano e non si risparmia: dribbling, tiri, palleggi, tocco di palla, lo sconforto potrebbe serpeggiare tra i poveri componenti del team Puma, ma nella gara dei rigori anche il buon Cesc spara alto concedendo l’occasione della vita a Jack, l’inglese meno scarso, che finalmente dopo anni di umiliazioni, conduce la Gran Bretagna a un insperato successo.
Alla fine foto e autografi chiudono due giorni fuori dal tempo per i vincitori del concorso che per molto ricorderanno Fabregas e che alla fine “ci vuole fortuna”.

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