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Cultura e Spettacoli

Paolo Bagnadentro e il sogno
di trasformare il Palio in una festa

Paolo Bagnadentro si presenta in perfetto orario all’appuntamento allo “Stregatto”, il bar del centro storico cittadino scelto per la nostra chiacchierata. «Anche se la rubrica si chiama “Un

Paolo Bagnadentro si presenta in perfetto orario all’appuntamento allo “Stregatto”, il bar del centro storico cittadino scelto per la nostra chiacchierata. «Anche se la rubrica si chiama “Un caffè con” posso prendere qualcosa di fresco?» mi chiede, sorridendo, appena ci sediamo nel dehor del locale di piazza San Secondo. Certo che sì, e così entrambi scegliamo di sorseggiare una spremuta d’arancia. Il caldo torrido di questa estate (l’intervista è stata realizzata a fine luglio) suggerisce alla gentile cameriera di “arricchire” le nostre bevande con refrigeranti cubetti di ghiaccio. Paolo è vestito in maniera elegante ma non appena il fotografo del giornale finisce di scattare le foto decide di togliersi la giacca e rimanere in maniche di camicia.

Poiché si avvicina la terza domenica di settembre, ho scelto di intervistare l’avvocato e personaggio noto della vita amministrativa cittadina visto che Bagnadentro è stato Capitano del Palio dal 2001 al 2005. Per lui ciò ha significato molto: «Posso dirti che è stato un piccolo sogno avverato anche se poi, quando l’ho realizzato, ne ho visto pure gli aspetti più prosaici… Sin da piccolo ho respirato l’atmosfera paliofila pur non parteggiando per alcun rione perché inizialmente vivevo a San Pietro, poi andai a San Silvestro, dove tra l’altro vivevano quasi tutti i miei amici, e poi in Cattedrale». Proprio tale ragione attirò qualche critica preventiva all’atto della sua elezione come Capitano: «Alcuni mi imputavano un certo distacco, non essendo un tifoso e non avendo dunque mai fatto Palio “con la pancia” ma io non avvertivo questo distacco e anzi amavo, e amo tuttora, non solo la manifestazione ma anche Asti tanto che ritengo il Palio un’essenza della città, un evento culturale».

La passione per i cavalli Paolo l’ha sempre avuta ma si può dire che gli sia “entrata nelle vene” pienamente solo dopo i vent’anni: «Da piccolo ricordo bene il Capitano del Palio della ripresa dopo l’interruzione, Giovanni Pasetti. Era un amico di famiglia e quindi lo vedevo spesso frequentare i miei genitori e ricordo che venni davvero “suggestionato” dall’importanza di questo personaggio. All’epoca non potevo certo immaginare che un giorno proprio io avrei preso il posto di Pasetti… Comunque, i cavalli mi sono sempre piaciuti ma quand’ero bambino, pur essendone affascinato, li osservavo da terra, e da lontano. Ero un po’ pauroso semplicemente perché avevo provato a cavalcare un paio di volte ma poi caddi e non ne volli più sapere. Poi più tardi, a 24 anni, ci riprovai e fu quasi una sfida per vincere la paura e cominciare davvero ad imparare ad andare a cavallo. Questi animali mi hanno sempre trasmesso un senso di libertà; inoltre cavalcando si fa un gesto che hanno fatto milioni di uomini fin dall’antichità e ciò è di per sé già molto affascinante». Indimenticabile l’emozione vissuta la terza domenica di settembre del 2001, al battesimo nel ruolo di Capitano: «Il momento più emozionante in assoluto è stato quando, entrando in piazza Alfieri, ho sentito l’applauso della gente. E poi la richiesta di correre al sindaco e il giro della pista al galoppo che io facevo quasi in piedi sulle staffe, guardando il pubblico… Sono istanti indescrivibili».

Restano scolpiti nella mente di Paolo anche i giorni precedenti la corsa, soprattutto della prima edizione, quando si trovò alla guida di un Gruppo curiosamente formato da persone i cui cognomi, oltre al suo, iniziavano tutti con “B”: dal mossiere Bircolotti ai magistrati Balbo e Briccarello fino al presidente della commissione tecnica Berlinghieri: «Ricordo che eravamo tutti nuovi e dovemmo inventarci un po’ tutto perché il Palio precedente era andato male: c’erano stati pesanti ritardi in conseguenza della rottura dell’argano e dunque noi avevamo il compito di riportare la manifestazione in tempi accettabili. Pensa che una sera con Renato, Nanni, Roberto e Gilberto ci trovammo a casa mia e simulammo con molta cura il Palio costruendo proprio una dettagliata scaletta oraria: alle 14 si fa questo; alle 15.15 quest’altro e alle 15.30 quest’altro ancora. Una scaletta che poi la domenica riuscimmo a rispettare».

Pur se il bilancio complessivo dell’esperienza da Capitano è ampiamente positivo, Bagnadentro mi svela un rimpianto di quegli anni ossia non essere riuscito a trasformare la manifestazione in una festa: «All’epoca preparai insieme a Gian Luigi Bera, storico del Palio, e a tanti Cavalieri, un “documento programmatico” nella convinzione che, per farlo crescere, il Palio andasse cambiato, anzi trasformato da ciò che ancora è essenzialmente – cioè un evento che vive un giorno solo – ad una festa, proprio come era nell’antichità quando nell’ambito delle celebrazioni per San Secondo la corsa era il momento clou di una settimana dove capitava di tutto. E ad una festa non si assiste semplicemente bensì si partecipa, ognuno ne è parte integrante. Avevamo immaginato un Palio che durasse una settimana intera e non confinato in un giorno solo. Ipotizzavamo pure di spostarlo a maggio poiché chi viene da fuori per le Sagre il secondo weekend di settembre difficilmente torna per il Palio già la domenica successiva, anche se il possibile cambiamento di data non era il punto principale». Un po’ come avviene in altre parti del mondo dove lo sfruttamento turistico di una manifestazione tradizionale passa attraverso la proposizione di un ricco calendario di appuntamenti nei giorni immediatamente precedenti l’evento principale.

Un briciolo di amarezza resta: «Se riguardo indietro commisi un errore: spinsi più che trascinare cioè non riuscii ad usare degli argomenti convincenti per trascinare le persone che gravitavano intorno al mondo del Palio e far comprendere loro la bellezza di un programma di questo tipo: lunedì i fuochi; mercoledì la fiera Carolingia; poi la sera del mercoledì il Paliotto; il giovedì le cene dei vari comitati nelle piazze cittadine con stand dove ogni borgo mostra sulle bancarelle i propri trofei, l’araldica ecc ecc. Il venerdì la grande sfilata in notturna con il premio Soroptimist e il sabato le prove ma con le batterie già sorteggiate e i cavalli “veri”, ossia una prova generale della domenica. Questo perché è sicuramente più avvincente avere vicino il tuo avversario del giorno successivo ed è anche più bello e appassionante per chi assiste alla corsa del sabato vedere una tensione diversa tra i fantini».

Bagnadentro mi spiega come i cambiamenti vadano fatti tutti insieme perché la politica dei piccoli passi che ha sempre avuto il mondo del Palio rischia di rendere instabile un evento «che ha bisogno di trovare un suo assetto che sia definito e definitivo». Ha poi parole di stima e incoraggiamento per l’assessore Cotto: «può far decollare la manifestazione trasformandola in una vera e propria festa in modo che chi arrivi da fuori respiri ovunque l’atmosfera del Palio».

La nostra conversazione si è concentrata quasi esclusivamente sull’amore per i cavalli e il Palio, ma il mio intervistato è appassionato di sport a 360°. In gioventù ha praticato atletica leggera e basket a livello agonistico con buoni risultati, e avrebbe voluto giocare un po’ di più a calcio «ma non avevo il talento sufficiente per continuare. Però ho sempre seguito le partite e ricordo a memoria qualsiasi formazione dei Mondiali e anche della Juve, la mia squadra. Pensa che una volta con l’amico dottore Roberto Briatore abbiamo fatto una sfida portando i vecchi album di figurine della nostra gioventù. Bisognava indovinare i calciatori solo dai volti, coprendo le maglie. Ho vinto io azzeccandone 49 su 50».

Bartolo Gabbio

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