E' un'economia ancora in difficoltà quella astigiana, con scarsa apertura agli scambi internazionali e con una ridotta base industriale. Dove si rileva una specializzazione commerciale
E' un'economia ancora in difficoltà quella astigiana, con scarsa apertura agli scambi internazionali e con una ridotta base industriale. Dove si rileva una specializzazione commerciale tradizionale e le condizioni del mercato del lavoro sono tutto sommato discrete, se confrontate con i dati regionali. A dirlo una recente analisi dell'IRES (Istituto Ricerche Economiche e Sociali) pubblicata a inizio novembre e a cura di Francesco Montemurro e Cristian Roner. I ricercatori osservano come anche nell'Astigiano, la crisi non sia servita come stimolo verso il cambiamento del sistema e come il perdurare della difficoltà delle imprese, possa difficilmente essere superato con il solo ricorso all'export.
Se si osserva l'indice di apertura agli scambi internazionali, definito come il rapporto tra la somma dei flussi commerciali in entrata e in uscita sul PIL, in Piemonte la provincia di Asti non si colloca tra quelle più coinvolte negli scambi internazionali. La media percentuale tra il 2000 ed il 2012 si attesta sull'1,5%, un dato superiore solo a Verbania (0,8%). Un valore che fa riflettere considerando che la media regionale si attesta intorno al 3,5%, senza considerare la provincia di Torino. Inoltre, il tessuto economico della nostra provincia si conferma ancora prevalentemente agricolo, soprattutto se confrontato con realtà regionali simili quanto a estensione, numero di abitanti e di imprese attive come Biella, Novara, Verbano Cusio?Ossola e Vercelli. Nel 2011 tra le 16.370 imprese astigiane censite, 101 risultano impegnate nel comparto agricolo contro le 71 di Novara e le 44 di Biella.
Sempre tenendo come punto di riferimento queste quattro realtà provinciali geograficamente simili, la base industriale dell'economia astigiana risulta ancora molto ridotta. Per i ricercatori «questo aspetto può contribuire a spiegare la ridotta importanza dei flussi commerciali della provincia con l'estero». L'importanza del settore agricolo si conferma anche nei dati del 2012 nei settori delle colture non permanenti (1,17%), in quello degli animali vivi e dei prodotti di origine animale (3,18%) ed in quello del legno grezzo. Rispetto a dieci anni prima l'Astigiano ha però perso il vantaggio che aveva nella silvicoltura.
Nonostante la base industriale ridotta, la provincia mostra un modello di specializzazione concentrato proprio nel comparto manifatturiero e nello specifico nelle filiere legate all'agricoltura, come le lavorazioni di carne e quelle ortofrutticole. I settori dei prodotti in legno, della chimica, delle lavorazioni metalliche e ei macchinari sono gli altri comparti industriali che formano il modello di specializzazione commerciale locale, un modello che nel complesso è legato ai settori tradizionali e ad alta intensità di lavoro non qualificato.
In ultimo vanno considerate le condizioni del mercato del lavoro, definite discrete se paragonate ai dati regionali. Il tasso di disoccupazione regionale nel 2013 era del 10,6% mentre ad Asti era del 9,6%. Meno peggio dunque rispetto ad Alessandria (11,7%), Vercelli (12%), Novara (12,4%) e Torino (11,4%). Stando ai dati del censimento ISTAT del 2011 nella provincia di Asti il 70,3% degli occupati è impiegato nei comparti delle attività manifatturiere, del commercio e delle costruzioni. Questo ultimo dato consente di fare un'ulteriore considerazione: pur essendo il settore agricolo predominate in provincia, quest'ultimo non è quello che offre il contributo più significativo in termini di occupazione.
Lucia Pignari