Accadde il 30 dicembre, quando era il 1984. Ad Akron, in Ohio, 40 anni fa nasceva LeBron James, il giocatore di basket che ha ampliato i confini del concetto di “stella dello sport”.

LeBron James sembra vivere in una realtà aumentata fin da quando era un adolescente. Una realtà ingigantita dalle attese, dal suo passato difficile, dalle ambizioni che nascono dal suo talento e dalla sua voglia di essere un motore di cambiamento della società. Giocare a pallacanestro lo ha aiutato a uscire da un’infanzia segnata dall’assenza di un padre, dalla povertà e dai sacrifici della madre Gloria. Akron e l’Ohio per lui hanno significato qualcosa in più di una casa e lui ha significato per la sua comunità un’occasione di riscatto, in una terra che per tanto tempo non ha avuto l’occasione di sognare una grande vittoria sportiva.

LeBron James ha diviso e unito, sorpreso e indignato, perso molto e vinto tanto. I titoli Nba conquistati a Miami, a Cleveland, con i Los Angeles Lakers hanno cementato la sua grandezza, costruita grazie a un fisico più unico che raro, a una fortissima etica del lavoro e a una considerazione di sé altrettanto grande. La narrazione e il racconto mediatico lo accompagnano da ormai più vent’anni, in una dinamica che lo stesso James alimenta e cerca di sfruttare a proprio vantaggio. “The Chosen One”, “The Decision”, “The Promise”, “Believe in something”: tutto con lui si fa titolo da prima pagina, si fa hashtag, un mantra capace di plasmare la realtà secondo il volere di LeBron “The King” James. È arrivato al paradosso di trasformare in un’azienda personale o quasi una franchigia gloriosa come i Lakers. Tra record individuali (da febbraio 2023 è il miglior marcatore nella storia della Nba), una forza commerciale enorme e un’attenzione non comune a piaghe sociali che vanno dalla dispersione scolastica al razzismo contro gli afroamericani, LeBron James contiene tutto e il contrario di tutto. Come solo pochi, anzi pochissimi, campioni dello sport riescono a fare.