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Federico Lumello, volto simbolo del rinnovato Canelli SDS

«Manca l’ansia prima della partita, condividere il bello e il brutto di ogni settimana con i compagni. È per questo che si sceglie il campo di calcio invece del mare o della montagna»

Federico Lumello, volto simbolo del rinnovato Canelli SDS

Assieme a Federico Lumello tracciamo un mini bilancio dell’inizio di campionato del suo Canelli SDS.

Quattro punti in cinque partite di campionato, eliminazione dall’Asti in Coppa. A tuo avviso quali difficoltà hanno pesato sul Canelli Sds prima dello stop?

«Abbiamo tanti giovani molto validi, ma giocare in Eccellenza è un’altra cosa rispetto alle categorie under. L’inesperienza ha pesato, così come gli infortuni di Bosco e Campagna. Anche con il cambio di guida tecnica ci è voluta qualche partita prima di mettere bene in pratica alcuni concetti».

Dopo tanti anni con Raimondi, con mister Gardano quanto è cambiata la fase difensiva?

«Le cose che sono cambiate sono la gestione delle palle inattive e la costruzione. Su calci d’angolo e di punizione difendiamo più a zona rispetto a prima, nell’inizio dell’azione ci viene chiesto di essere molto pronti a verticalizzare verso le mezz’ali o le punte. È stimolante, ma prima di creare degli automatismi ci vuole tempo».

Secondo te quali sono le caratteristiche più importanti per un difensore?

«La costanza è fondamentale, un errore molte volte costa il gol. Bisogna mantenere la concentrazione sempre alta. Con il passare degli anni ho cambiato il mio modo di preparare la partita e di affrontare l’avversario diretto puntando proprio su questi aspetti».

Qual è l’attaccante che hai avuto più difficoltà a marcare?

«Dutto del Pro Dronero per la fisicità, anche Montante del Corneliano l’anno scorso è stato una bella spina nel fianco, ha mostrato di sapersi muovere bene. In questo girone credo però che ci sia carenza di attaccanti, i nomi principali sono sempre gli stessi da anni».

Qual è il compagno di reparto con cui ti sei trovato meglio?

«Quello che mi ha lasciato di più è stato Giovanni Serao nel primo anno di Eccellenza. Mi ha insegnato tanto, trasmetteva sicurezza a tutti».

C’è una partita che vorresti poter rigiocare?

«È una partita che vorrei aver giocato, invece rimasi in panchina. Parlo del playout contro il Corneliano nel 2015: ci bastava il pareggio, invece perdemmo 1-0 con un calcio di rigore sbagliato da Bissacco. Avevo compagni di valore come Morabito e Lisa, per far entrare tutti i giovani che servivano restai fuori io. Oggi saprei meglio come interpretare una partita del genere e vorrei giocarla».

Sei anche un allenatore e nella vita sei un insegnante di educazione fisica: che cosa pensi di come s’insegna a giocare a calcio ai bambini?

«Dall’esclusione dai Mondiali 2018 c’è molta più attenzione a strutturare gli allenamenti con situazioni di gioco precise. Si cura la comunicazione con i bambini e penso che ci si sia messi sulla strada giusta. Più del risultato conta quello che i bambini apprendono, ognuno con i suoi tempi e i suoi modi».

Come stai vivendo queste domeniche senza partite?

«Male. Mancano quelle emozioni per cui ci si allena con due gradi sotto zero, per cui si bisticcia in famiglia perché si è mai a casa. Manca l’ansia prima della partita, condividere il bello e il brutto di ogni settimana con i compagni. È per questo che si sceglie il campo di calcio invece del mare o della montagna».

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