Il soprannome perfetto. Hernanes, talento sopraffino del calcio mondiale, è conosciuto da tutti come il Profeta, felice intuizione di un giornalista sudamericano, nata quasi per sbaglio, che fotografa alla perfezione l’io dell’ospite d’eccezione della “Pinta di Sport” del FuoriLuogo andata in scena giovedì scorso. Risposte articolate, spunti notevoli. Intervistando il centrocampista che ha vestito le maglie di Lazio, Inter e Juventus si evince il suo “spessore umano”: mai banale, per questo profetico, o profondo che dir si voglia. Ha raccontato, da astigiano d’adozione, la sua passione per l’Italia, la campagna e il buon cibo, ma anche il profondo amore per lo sport e una costante attitudine competitiva.
Hernanes, Roma, Milano, Torino le tue prime tappe italiane prima del Monferrato: quanto è stato difficile ambientarsi?
Quando mi sono trasferito dal Brasile temevo tantissimo il freddo, a Roma invece ho trovato un bel clima. La sua storia, il Colosseo, tutti elementi che mi hanno fatto amare immediatamente l’Italia. Sognavo di chiamare mio figlio Massimo, affascinato dal film “Il Gladiatore”, passeggiare per le vie della Capitale è stato subito qualcosa di magico. La gente è socievole, aperta, molto simile ai brasiliani. Direi che le mie tappe italiane sono state perfette: prima il calore del centro, poi Milano e Torino, due bellissime metropoli, dove la gente è più discreta, quando avevo già una maturità diversa.
Hai giocato al fianco di campionissimi come Klose, Dybala, Ronaldinho, Higuain, Icardi. Che ricordi hai di loro?
Klose è un perfezionista, che mi ha aiutato a rendere il mio gioco istintivo funzionale alla squadra. Voleva capire i miei movimenti, trovare l’intesa perfetta. L’esperienza all’Inter è nata con l’obiettivo Champions, poi sfumato, perché arrivammo sesti, era una squadra in una fase di transizione. Icardi è stato un ottimo compagno, che frequentavo anche a cena. Alla Juve ho trovato campionissimi, come Buffon, che per leadership mi ricorda tanto Rogerio Ceni, e Chiellini. Dybala quell’anno fece la differenza, è un calciatore unico, con un talento straordinario, che a mio avviso deve giocare da trequartista per fare la differenza. Oggi si predilige il 4-3-3, ma lui da esterno o da punta pura è sprecato.
Intervista completa nell’edizione di martedì 29 marzo, disponibile anche in edizione digitale