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Sport, sapersi arrangiare al tempo della crisi
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Sport, sapersi arrangiare al tempo della crisi

La crisi morde senza distinzioni e non si salva, ovviamente, nemmeno lo sport. Le notizie di ritiri, rinunce, obiettivi ridefiniti al basso si moltiplicano di giorno in giorno in tutte le discipline e

La crisi morde senza distinzioni e non si salva, ovviamente, nemmeno lo sport. Le notizie di ritiri, rinunce, obiettivi ridefiniti al basso si moltiplicano di giorno in giorno in tutte le discipline e in tutte le regioni italiane, da Roma a Casale Monferrato, tanto per fare un esempio di facile comprensibilità. Asti e il suo interland non fanno certo eccezione alla regola in questa grama stagione: alle annunciate difficoltà dell’Asti Volley, a quelle malcelate dell’Asti Rugby, al progressivo abbandono del Palasanquirico di tutte le attività che non siano quelle degli Orange del calcio a 5, per non parlare del Callianetto la cui vicenda, pur essendo figlia della crisi, presenta però anche connotazioni di comprensibile logoramento dopo dodici anni ai massimi vertici nazionali ed internazionali, ne seguiranno probabilmente altre nei prossimi mesi, più o meno quando si tratterà di riprendere l’attività post-feriale.

Come reagirà il mondo dello sport astigiano a questa preoccupante situazione? Qualcuno già sta pensando a misure economiche piccole ma significative (l’Aics di Asti ridurrà, per esempio, il costo dei suoi campionati di calcio del 20%), ma più in generale credo che varrà la regola del sapersi arrangiare, quando non quella più drastica dell’abbandono. D’altra parte – diciamocela tutta – non è che l’Astigiano sia stato, anche negli anni più economicamente felici, un esempio di sostegno territoriale alle sue attività sportive che pure prosperavano dappertutto e nelle più svariate discipline (oggi sono circa 30mila i praticanti, tra agonisti e amatori, in provincia di Asti).

Certo, ci sono state lodevoli e mitiche eccezioni come la Saclà, la Riccadonna, la Tubosider, la Cassa di Risparmio di Asti, mecenati come Giuseppe Nosenzo, Paolo Ruscalla o Alberto Fassio. Ma sono state, come si diceva, eccezioni. Tutti gli altri, da oltre mezzo secolo, si arrangiano e si sono arrangiati. C’è da sperare che anche questa volta accada lo stesso e che Diopalla, come recitava un certo signore che di nome faceva Gianni Brera, ce la mandi buona.

Paolo Monticone

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