Imprenditore, un passato burrascoso tra le fila degli Hells Angels che gli è valso il soprannome di "Cinghiale", la passione per le discipline da combattimento. A 53 anni Roberto Nosenzo,
Imprenditore, un passato burrascoso tra le fila degli Hells Angels che gli è valso il soprannome di "Cinghiale", la passione per le discipline da combattimento. A 53 anni Roberto Nosenzo, canellese doc, sembra aver messo la testa a posto anche se il richiamo della competizione nella gabbia è troppo forte. Sì, perché questo omaccione dal corpo statuario ricoperto da tatuaggi pratica l'MMA, ossia le arti marziali miste, uno sport da combattimento che si pratica all'interno di una gabbia o su un ring. Allenato da Alberto Barbero della No.Ba. Team di Canelli, Nosenzo ha partecipato, nel giugno scorso, a "Milano in the Cage" (Milano nella Gabbia), il più importante torneo di MMA d'Italia finendo anche nella pellicola di un film.
Questo canellese dall'anima ribelle sarà infatti nella scena finale del film omonimo "Milano in the Cage" (in uscita nelle sale il prossimo 2016) il nuovo film di Fabio Bastanello, già autore di pellicole come "Secondo Tempo" (film ambientato nell'universo degli Ultras). La pellicola non è un docu?film ma ci si avvicina. Segue da vicino il mondo della periferia urbana, le tensioni sociali, le gang di quartiere e dei combattimenti in strada attraverso il suo protagonista, Alberto Lato. Il regista ha girato qualche scena nel corso del torneo milanese, riprendendo lo scontro finale tra Lato e Nosenzo. Nulla è stato artefatto, lo svolgimento del match è stato autentico.
Adrenalina alle stelle, dunque? Non certo per la presenza della telecamera. «In realtà il film l'ho preso poco in considerazione. Io ero concentrato sul match -? racconta Roberto Nosenzo ?- Speravo in un avversario più forte. Lo stesso regista mi aveva chiesto di resistere il più possibile nella gabbia. Penso sia rimasto sorpreso quando ho sconfitto il suo pupillo al secondo round per ko». Ci chiediamo quanto il suo passato possa aver contribuito alla sua preparazione per il match. «Gli anni con gli Hells Angels sono stati turbolenti. Ho partecipato a numerose risse, ho vissuto anche la realtà della prigione. Ho pagato i miei debiti. Faccio ancora parte degli Hells Angels anche se mi definisco più un "pensionato"» sorride.
Gli domandiamo degli scontri in strada, della differenza con quelli affrontati in galera: «in prigione sono più delle provocazioni ma una sorta di codice d'onore esiste. Per strada invece non ci sono regole, devi guardarti alle spalle». Da qui il suo soprannome, "Cinghiale": «me lo hanno dato gli Hells Angels. Nel corso di una rissa hanno cercato di atterrarmi con delle sedie sulla schiena. Sono sempre rimasto in piedi». Aneddoti che sembrano appartenere ad un'altra vita. Ora Roberto vive stabilmente a Canelli, ha una sua attività di successo (è titolare di un'azienda che produce marmitte). L'aggressività la sfoga solo più sul ring. Oppure nella gabbia.
Lucia Pignari