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Valmanera, viaggio nel cuore del cross

Ripercorriamo gli anni d’oro della pista, riferimento per i piloti da tutto il mondo, assieme a Gippy Crosetti, anima del progetto

Il paradiso dei crossisti, a cinque minuti d’auto dal centro della città. Per decenni la pista di Valmanera è stata questo e molto di più: il ritrovo della porta accanto degli astigiani innamorati della terra e dei motori, ma anche una finestra aperta sul mondo. Un luogo di sport, di emozioni, di ricordi che non si consumano. Giampiero “Gippy” Crosetti ne era il cuore infaticabile. In qualche modo lo è ancora: anche adesso, a quasi nove anni dall’ultima volta che una moto ha percorso quei 1750 metri disegnati in un anfiteatro naturale, continua a coltivare progetti che restituiscano una seconda vita al sito oggi abbandonato.
Parlare della pista di Valmanera è riaprire una ferita rimarginata o che ancora brucia?
«Brucia ancora, eccome. Non abbiamo mai smesso di avere contatti con la Federazione motociclistica né di lavorare per cercare di riaprire. Ogni giorno che passa per noi è un giorno perso».
Quali sono i tuoi primi ricordi legati al circuito?
«La prima gara è del 1972, ma esisteva già da un anno o due. All’epoca si girava in senso contrario rispetto a dopo e stavano nascendo tante piste in giro per il Centro Nord: in Piemonte, in Veneto, Liguria e Toscana. A Valmanera, mio nonno aveva parte di quei terreni, con il tempo ne sono stati acquisiti altri per completare la pista. Quella conca con le colline tutt’attorno era un anfiteatro naturale».

La si ricorda sempre come una pista spettacolare e tecnica, ci spieghi perché?
«Il fondo consentiva di girare in ogni condizione. Era adatto a tutti, non era duro da farsi male ogni volta che si cadeva. Per il 90 percento era sabbioso, richiedeva grande cura, tant’è che siamo stati tra i primi a dotarci di un impianto fisso di irrigazione alimentato dai pozzi che avevamo. Il circuito raggruppava tanti elementi che favorivano l’imprevedibilità. Dopo la partenza c’era un toboga in discesa, poi una serie di curve dove se perdevi qualcosa era dura rimediare. La parte in fondo era la più tecnica. Per noi che giravamo era la fine del mondo: c’erano quelle salitone e discese che ora quasi non si vedono più. Molte piste oggi per ragioni televisive sono piatte, hanno percorsi compressi, le moto sono sempre per aria. Da noi quattro telecamere piazzate nei punti più alti consentivano di coprire tutto».

Chi si occupava della pista? Come ne sei diventato il gestore?
«All’inizio eravamo tanti soci nel Cross Club Asti, poi siamo rimasti tre famiglie. Tra i giovani c’ero io che sono diventato presidente a 18 anni, Claudio Moiso come vice. Prendevamo le decisioni, gestivamo le gare ma intorno avevamo molte altre persone. Ogni volta che aggiungevamo un elemento nuovo, guardavamo poi un po’ più in là. Nella pista abbiamo aperto un bar, un ristorante, davamo servizi per le moto, raccoglievamo gli oli esausti. Con l’aiuto di mia mamma e di altre signore che mandavano avanti il ristorante, la Pro Loco di Valmanera, i commissari di percorso. Per noi non è mai stato un lavoro, ma sempre una passione. Tenevamo aperto dal giovedì alla domenica, il lunedì magari ricevevamo la telefonata di un team ufficiale per fare allenamento su una pista ben bucata dai passaggi degli amatori nel fine settimana. Si è sviluppata anno dopo anno, dalle gare di livello regionale e interregionale fino alla prima prova degli Assoluti nel ’94».

Quali sono state le gare più importanti corse a Valmanera?
«La Coupe de l’Avenire del 1980, il Mondiale giovanile, è stato uno dei primi, ma nel giro che conta siamo riusciti ad entrare a metà degli anni ’90. Insieme a Odolo, Gallarate e Maggiora siamo diventati una delle quattro prove dei Campionati Assoluti. Qui c’è stata quasi sempre quella finale, perché anche a ottobre si riusciva a portare a casa la gara. Il 31 marzo 1996, quasi venticinque anni fa esatti, c’è stato il primo Gran Premio del Campionato mondiale con almeno cinquemila paganti. Un momento incredibile: la decisione di gareggiare ad Asti fu presa solo il dicembre prima al Motor Show di Bologna, a febbraio è nevicato, abbiamo corso da pazzi per arrivare pronti in tempo. Ma il direttore di gara Tony Skillington, oggi ceo della Federazione Internazionale, alla fine ci disse “good job”. La corsa del Mondiale più emozionante è stata quella del 1998. Una stagione spettacolare, decisa all’ultima gara. A mezz’ora della prima manche c’è stato il diluvio universale ad Asti, poi la corsa: Stefan Everts e Sebastien Tortelli si sorpassarono almeno trenta-quaranta volte in testa. Ricordo che all’inizio dell’anno successivo l’Action Group, detentore dei diritti di immagine, mise la foto della nostra pista sulla copertina del pieghevole del Campionato del mondo.
Le ultime gare mondiali le abbiamo avute nel 2004 con la Mx3 e il sidecarcross. Ma un grande evento è stato anche il Mundialito dell’anno prima, il campionato del mondo dei ragazzini in prova unica. Finirono sul podio Ryan Villopoto, Christophe Pourcel e Zach Osborne, tre che hanno fatto la storia. Villopoto in un articolo di anni dopo ricordava Asti per la pista e per il trofeo di quella gara. Facevamo premiazioni speciali, con coppe alte anche un metro e sessanta».

Dal 2012 Valmanera è chiusa per ragioni legate alla tutela ambientale dell’area.
«Adesso quel sito è abbandonato a sé stesso. È la prima volta che ne parlo pubblicamente, ma stiamo progettando la realizzazione di un impianto sportivo polivalente. L’idea sarebbe rimettere in sesto il circuito con le sue caratteristiche per gare in e-bike, gestite sempre dalla Federazione motociclistica. Il completamento ideale sarebbe ricavare dei campi da paddle e da tennis nel vecchio parcheggio e nell’area in fondo la pista triangolare per l’allenamento dei cavalli del palio di cui si parla da tempo. Entro fine anno speriamo di definire».

L’editoriale

Tra gli approfondimenti e gli articoli di cui vado maggiormente orgoglioso in uscita sul numero odierno c’è un focus, a pagina 59, nel quale ripercorriamo gli anni straordinari delle ruote chiodate ad Asti. La mitica pista di Valmanera, raccontata da chi, come Gippy Crosetti, trasuda passione per i motori e il cross, un astigiano doc conosciuto trasversalmente da tutta la città, tra le anime di un’eccellenza astigiana come quel tracciato. Che è stato oggetto di polemiche, analisi, riflessioni, chiusure e dibattiti negli ultimi anni.

Il nostro obiettivo, nell’articolo, è quello di tradurre in parole e aneddoti ciò che rappresentava il tracciato: un orgoglio nazionale per chi masticava fettucciato e due ruote. Quella pista ha rappresentato certamente un riferimento per appassionati provenienti da ogni parte d’Italia, e non solo. Tanti stranieri hanno affrontato le curve astigiane e lottato per il primato, fosse una semplice gara o una tappa Mondiale di fine Anni Novanta.

Senza commentare ciò che è accaduto successivamente, è giusto sottolineare dati oggettivi: la pista di Valmanera rappresentava lo sport ad alto livello, ma era anche una incredibile forma di “B2B”: un indotto di elevata caratura, grazie alle miriadi di piloti e appassionati che giungevano in città. La pista portava con se turismo, lavoro ed era soprattutto uno straordinario veicolo pubblicitario per Asti. Valmanera non era solo rombo di motori, figurava da preziosa lente di ingrandimento per scoprire le bellezze astigiane, come quelle turistiche, gastronomiche ed enologiche.
Osservare le immagini di quello che era quella pista, ripensare a ciò che ha rappresentato per molti e grazie alla quale in tanti fuori Italia si ricordano di Asti, mette un po’ di malinconia. Spirito di iniziativa, entusiasmo, ambizione, tutti tratti comuni di quel progetto, sono sempre attitudini lodevoli, da sostenere a gran voce. Non so se mai torneranno quei tempi, di certo in molti li porteranno nel cuore tra i ricordi più gioiosi di una città vivace, frizzante e propositiva. “Che rumore fa la felicità?” Che fosse a due, o quattro tempi, era comunque un “bel rumore”.

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3 risposte

  1. Ho girato tante volte al Valmanera. Non l’ho mai dimenticata,spero che possa riaprire, anche se non x le cross endotermiche… Comunque sia, il ritorno di una pista è sempre positivo. P. S. Vedo tra gli autori dell’articolo Luca Parena.. È lo stesso che sento a R. P. Milano???

  2. Negli anni 90 ….facevo il regionale fmi e valmanera come Bra america dei boschi erano piste tecniche e di grande storia….quello che non capiscono i presidenti delle rappresentanze dei vari sport e discipline è che il motocross ha una buona rappresentanza di appassionati piloti amatori professionisti che anche se non restiamo interessi televisivi siamo tantissimi appassionati ……e veder la fine di queste piste elencate ed altre fa’ intendere che politicamente gli interessi sono pochi.

  3. Appassionato di motori, che negli anni fine 90/2000 aspettava la gara di fuoristrada Memorial Castellazzo-Piccaluga con trepidazione . Una delle poche gare in cui da chiodo riuscivo a far bene . Quanti bei ricordi! La tappa del CIVF con i prototipi a farla da padrone . I piloti entusiasti la hanno eletta miglior tappa del Campionato . Quante volte in questi lunghi nove anni mi sono chiesto come mai tutti i Circuiti Mondiali più belli e riconosciuti tali sono all’interno di parchi naturali e zone verdi? Non voglio citarne nessuna, mi sembra che sia una questione personale nascosta nei meandri politici e burocratici . Ho provato a chiedere agli amici e conoscenti se sono mai stati a Trofarello o al Sassello: tutti mi rispondono credo di no! Però sono stato alla Pista e…, ma quando apre VALMA? Se non volete farlo per noi appassionati fatelo per la vostra Asti . Asti per noi non è solo Palio e Duja, vorremmo avere altro di più interessante .

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