Nelle case di riposo il virus portato da fuori
«Sai cosa puoi dire? Che nelle comunità il virus non c’era ma qualcuno l’ha portato: l’asintomatico». A parlare è un triste ma combattivo Massimiliano Vacchina, direttore generale dell’Opera Diocesana Assistenza di Casale Monferrato. Fatica a parlare con noi perché, come dice lui, «adesso è il tempo del rispetto verso chi è morto, verso chi soffre e verso chi lavora duramente», a stento riusciamo a trattenerlo per qualche minuto al telefono perché aggiunge che è «ora di lavorare a testa bassa anziché sottoposi a continue esposizioni mediatiche».
Chi doveva essere controllato per primo
Vacchina ci racconta, però, cosa non ha funzionato nella prevenzione: «Purtroppo i decreti, contro il contagio da coronavirus, hanno dimenticato chi non poteva stare a casa perché doveva recarsi ad accudire i più deboli. Forse il primo problema da affrontare era proprio provvedere a fare tamponi a coloro che lavorano nelle case di riposo». Vacchina, già nella scorsa settimana, aveva lanciato un forte grido d’allarme; il suo “siamo fuori tempo massimo”, riferendosi alle strutture per anziani lasciate sole, aveva risvegliato le coscienze di molti dopo tante morti passate quasi inosservate, una strage silenziosa.
«Avrei voluto i tamponi prima»
È qualcosa deve essersi mosso, perché proprio ieri nella Rsa Villa Serena di Moncalvo sono finalmente stati eseguiti ben 58 tamponi nasofaringei tra degenti e personale sanitario. Una vittoria? «No assolutamente», ci risponde Vacchina che subito aggiunge: «Piuttosto sono rammaricato. Mi spiace per non essere stato in grado di ottenerli prima. Forse qualcosa in più si poteva fare». In realtà, ed è cronaca di questi giorni, Villa Serena, come tante altre strutture per anziani, hanno combattuto, in solitaria, una battaglia contro un nemico invisibile che non ha confini.
Una lotta solitaria
La stessa Oda ha dovuto arrangiarsi, da sola, assumendo per conto suo un medico infettivologo che, da settimane, è di supporto alla direzione sanitaria. I risultati, con tutto ciò, stanno arrivando: «La situazione dei degenti – dice, con un sospiro di sollievo, Vacchina – è in netto miglioramento. Il focolaio dovrebbe essersi esaurito; gli ospiti sono sfebbrati e anche quelli che avevano manifestato sintomi stanno, ora, bene. Dobbiamo, però, tenere duro e non cedere di un millimetro».
Personale ridotto
La struttura si è trovata a fare i conti con la carenza di personale, per malattia o isolamento preventivo. Una situazione, anche in questo caso, gestita in solitudine: «Siamo ricorsi a operatori di altre nostre strutture. Abbiamo chiesto loro chi se la sentiva di venire a dare una mano. Oda è una grande famiglia e nessuno si è tirato indietro. Va de sé che così, però, abbiamo creato problemi di turnazione in altre residenze. Abbiamo anche assunto nuove persone pur di garantire e salvaguardare i nostri ospiti».
«Il nostro personale non si è risparmiato»
A tal proposito Vacchina tiene a ringraziare tutta la sua squadra: «È un gruppo di lavoro fantastico di grande professionalità, esperienza ma soprattutto umanità. Non si sono risparmiati in nulla. Medici, infermieri, oss e tutto il personale generico hanno lavorato principalmente con il cuore per il bene dei nostri ospiti». L’esecuzione dei tamponi porta con sé anche la speranza di migliorare la gestione sanitaria: circoscrivere gli eventuali positivi e mettere ancor più in sicurezza i negativi. Il dubbio sollevato da Vacchina, però, resta e pesa come un macigno: si poteva fare prima e di più? Proprio ieri l’assessore regionale Chiara Caucino ha svelato le cifre choc dei contagi nelle case di riposo in Piemonte: sui primi 3.000 tamponi effettuati, 1.300 sono risultati positivi. A questa domanda, quindi, qualcuno, prima o poi, dovrà dare una risposta.