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Quando l'indagine sui rifiuti dell'alluvionesi intrecciò con il caso Ilaria Alpi
Cronaca

Quando l'indagine sui rifiuti dell'alluvione
si intrecciò con il caso Ilaria Alpi

Vent'anni fa, in un furioso attentato per le strade di Mogadiscio, perdevano la vita la giornalista italiana Ilaria Alpi e il suo cineoperatore Miran Hrovatin. Quello che, all'inizio, sembrò

Vent'anni fa, in un furioso attentato per le strade di Mogadiscio, perdevano la vita la giornalista italiana Ilaria Alpi e il suo cineoperatore Miran Hrovatin. Quello che, all'inizio, sembrò un fatale "incidente di lavoro" per i due reporter, originò il fortissimo sospetto di una vera e propria esecuzione: una condanna a morte per essersi avvicinati troppo a quello scellerato patto che vedeva l'accettazione da parte della Somalia di navi cariche di rifiuti altamente tossici in cambio di armi che alimentavano la guerra civile. Ilaria e Miran uccisi per aver fatto bene il loro lavoro, senza tener conto di tutti i personaggi sfocati che si muovevano sullo sfondo di una vergogna tanto italiana quanto somala: i servizi segreti, faccendieri di ogni livello e genere, politici, signori della guerra tribali.

A distanza di vent'anni la verità, nella sua completezza, non è ancora emersa. Per la morte dei due giornalisti italiani è stata emessa una sola condanna a 26 anni, quella di un cittadino di Mogadiscio accusato di aver fatto parte del commando che bloccò l'auto sulla quale viaggiavano Ilaria e Hrovatin per aprire il fuoco sui loro occupanti. Così, per onorare questo triste anniversario, è partita una raccolta di firme su facebook che ha visto anche personaggi noti aderire, per chiedere che venga fatta finalmente chiarezza sui mandanti di quella "esecuzione" e che vengano rese pubbliche tutte le carte relative a questa vicenda e al traffico dei rifiuti tossici. Una sottoscrizione che porta, come destinatario, l'indirizzo della Presidente della Camera Laura Boldrini.

E in questa storia oscura, tutta italiana, c'è anche una grande parte di Asti. Già, perchè lo scandalo delle navi dei veleni è originato da un'inchiesta che, a due anni dall'alluvione del 1994, venne avviata dalla Procura della nostra città, retta allora dal dottor Sebastiano Sorbello. Erano gli anni in cui affioravano le anomalie negli appalti per lo smaltimento dei rifiuti alluvionati della nostra provincia. Fanghi e montagne di detriti informi restituiti dalle acque che andavano portati via. Decine le ditte che avevano in appalto questo lavoro. E i casi di truffa. Su due filoni distinti, come ebbe modo di appurare il sostituto procuratore Luciano Tarditi al quale l'inchiesta venne affidata.

Quali erano questi due filoni?
Il primo riguardava i cosiddetti "chilometri gonfiati": da Asti a Torino venivano contabilizzati viaggi e rimborsi per un numero di chilometri molto superiore a quelli realmente percorsi dai mezzi che conferivano i rifiuti alluvionali. L'altro filone, sempre sulle tracce dei viaggi dei detriti, ci portò alla grande discarica di Pitelli, a La Spezia, in deroga al divieto vigente allora di extraregionalizzazione dei rifiuti. Un grande invaso già "attenzionato" sul quale pendevano degli accertamenti sui quali noi innestammo la nostra indagine, con l'ausilio della Guardia Forestale di Brescia.

Cosa scopriste indagando su Pitelli?
Scavando si trovarono numerosi fusti di materiali tossico nocivi come vernici (anche quelle usate per oscurare le armi ai radar), morchie provenienti da stabilimenti e altro. Una fonte confidenziale ci riferì, ad un certo punto, di essere stata contattata da alcuni soggetti che le proposero di smaltire rifiuti radioattivi da destinare alla Somalia. Fra questi vi era un uomo, italiano, che presentava documenti di console onorario della Somalia.

Siamo nel 1997, come proseguiste le vostre indagini, a quel punto?
Mettemmo sotto intercettazione il telefono di questo console onorario. Ascoltammo delle conversazioni interessantissime e, per la prima volta, incontrammo nella nostra inchiesta Giancarlo Marocchino, un piemontese che viveva a Mogadiscio da anni, ufficialmente titolare di una azienda di trasporti, ma di fatto, personaggio che godeva della massima fiducia dei vertici italiani in Somalia. Importante anche l'individuazione di un imprenditore toscano con il quale Marocchino intratteneva affari. E' dalle conversazioni fra questi ultimi due che emersero importanti notizie relative al caso Alpi.

Di cosa parlavano?
Delle spedizioni delle navi di veleni in Somalia confermando che La Spezia era un porto strategico. Basti pensare che un grande carico di plastica che prese fuoco alle porte di Asti nell'agosto del 1997, nei capannoni Sla, aveva transitato per lo stesso porto dopo aver viaggiato per mezza Europa ed essere stato rifiutato.
E sull'omicidio di Ilaria e Miran?
Noi non captammo mai direttamente l'utenza di Marocchino, ma le sue conversazioni con gli italiani che erano sotto intercettazione. Una delle più interessanti avvenne all'indomani dell'arresto di quello che veniva ritenuto uno dei componenti del commando di assalto ai giornalisti. Ebbene, nella telefonata, Marocchino, molto esplicitamente disse che sapeva come erano andate le cose e quell'Omar Hassan Hashi arrestato non c'entrava nulla.

La Procura di Asti come utilizzò quell'informazione?
Mandammo alla Procura di Roma, che procedeva sull'omicidio di Ilaria e Hrovatin, il contenuto dell'intercettazione, ma appena depositati gli atti, saltò fuori che un ex deputato, avvocato di professione, telefonò all'imprenditore toscano e lo avvertì che stavamo intercettando le sue conversazioni con Marocchino. Da quel momento cessarono. E la Procura di Roma proseguì con l'incriminazione di Omar che era intanto giunto in Italia con alcuni profughi e fu riconosciuto dall'autista della Alpi.
Finora l'unico imputato e condannato.
Fu assolto in primo grado e condannato a 26 anni in Appello. Ma la famiglia di Ilaria, che si è sempre fidata delle indagini della Procura di Asti, ha respinto quelle conclusioni chiedendo a gran voce, da allora, che venisse fatta davvero chiarezza su tutti i responsabili della morte della loro figlia.

Perchè la famiglia Alpi (e non solo) è convinta che dietro ci siano i servizi segreti e frange dello Stato Italiano?
Fra le intercettazioni più importanti, ve ne è una in cui Marocchino, dalla Somalia, si vanta di poter "far saltare poltrone" in qualunque momento in quanto in possesso di scottanti carte della cooperazione internazionale italiana. Documenti che erano stati dati per persi in un incendio avvenuto all'interno di un capannone in cui erano ammassati ma che invece erano stati salvati ed erano nelle mani del faccendiere biellese.

Il sostituto procuratore Tarditi è stato sentito in più occasioni dalle commissioni d'inchiesta sulla morte della giornalista italiana e del suo operatore ed è stato chiamato a numerose conferenze e ad incontri su questo argomento insieme ai colleghi di Ilaria che da vent'anni lottano perchè si squarci il velo sulla sua tragica morte.

Daniela Peira

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