Il vescovo Prastaro
«La scarsità di sacerdoti e la loro età media molto alta, insieme al calo delle vocazioni, ci imporrà di ripensare al modo di concepire le parrocchie, al ruolo dei parroci e dei laici».
E’ una delle tante considerazioni espresse, nei giorni scorsi, dal vescovo Marco Prastaro. L’occasione era la festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, che si è svolta in Vescovado, alla presenza del responsabile Comunicazioni sociali della diocesi, Michelino Musso, e del vicario generale della diocesi don Marco Andina.
Un incontro che è coinciso all’incirca con i primi 100 giorni di monsignor Prastaro alla guida alla diocesi astigiana. E quindi occasione per tracciare un primo bilancio, tra considerazioni e impressioni, di fronte ai cronisti locali.
Gli incontri
«Questi mesi, seguiti all’esperienza molto intensa dell’ordinazione episcopale – ha esordito monsignor Prastaro – sono stati di conoscenza. Dopo quella celebrazione, infatti, è iniziata la vita di tutti i giorni, in cui ho cominciato a conoscere la diocesi (le comunità parrocchiali, il clero) e la società civile, dalle autorità alle varie associazioni e ai gruppi che operano sul territorio. E, nota a margine, anche l’ottima e abbondante cucina locale, cui non ero pronto visti i miei pasti decisamente parchi».
La fotografia della diocesi e il suo riassetto
Cosa ne è emerso? Per quanto riguarda la diocesi, il fatto che l’età del clero è molto alta, così come quella dei fedeli che partecipano alla messa. «Una criticità – ha spiegato – raccontata anche dai numeri. I preti diocesani sono 71, di cui 36 hanno già compiuto 70 anni. Per contro, c’è solo un giovane seminarista che sta frequentando il primo anno di Teologia al seminario di Torino. E ciò vuol dire che, se tutto va bene, diventerà sacerdote tra sei anni. Questa realtà conduce inevitabilmente ad alcune riflessioni, come quelle legate al riassetto organizzativo della diocesi. Bisognerà ripensare al modo di concepire le parrocchie (anche senza il parroco “al centro”) e al ruolo del laicato. E ancora, all’accorpamento di più parrocchie sotto la guida di uno stesso parroco, continuando il percorso già avviato in passato».
«Le parrocchie, infatti – ha proseguito – attualmente sono 129: tra qualche anno, gestirle con 35 sacerdoti sarà decisamente problematico. E questo nonostante nel nostro caso non esista la famosa “quota 100”: le dimissioni per anzianità vanno date a 75 anni, ma possono anche non essere accolte. A Soglio, per esempio, il parroco don Luigi Boeri ha 91 anni e continua a svolgere il suo servizio».
Il riassetto riguarderà anche i seminari, considerando il continuo calo di vocazioni. Nel 2006 i seminaristi astigiani hanno cominciato a formarsi al Seminario interdiocesano di Alessandria, chiuso l’anno scorso. Attualmente l’unico seminarista astigiano studia a Torino, dove è presente uno dei tre istituti piemontesi (tanto per dare un’idea del calo diffuso delle vocazioni, la Diocesi di Torino conta 12 seminaristi per un’area di oltre 2 milioni di abitanti).
«In futuro – ha affermato Prastaro – si potrà pensare ad un ulteriore accorpamento, come successo in Puglia, dove è presente un unico seminario a livello regionale».
La Chiesa specchio della società
Il calo delle vocazioni, ha evidenziato il vescovo, è strettamente legato alla cultura del nostro tempo e riflette le caratteristiche della società odierna. «Il dato oggettivo – ha spiegato – è che i giovani faticano sempre di più a compiere scelte definitive, come si nota nel calo dei matrimoni a dispetto delle convivenze».
Chiesa come specchio della società, quindi, anche riguardo all’età media elevata di clero e fedeli. «L’aspetto che mi ha colpito, quando sono arrivato ad Asti – ha raccontato – è che, sfogliando le pagine dei giornali locali, la maggior parte delle foto di eventi e iniziative ritrae persone mature. Per trovare i giovani bisogna andare a leggere gli articoli che parlano di musica e sport. Questo non significa che i giovani non ci siano, ma che si ritrovano in spazi e circuiti propri».
Riguardo alla fotografia della città e della provincia, Prastaro ha comunque parlato di una società molto viva, con potenzialità umane e sociali diffuse. Società che sta ancora soffrendo il grave problema della crisi occupazionale, ma che sta cercando di uscirne imboccando alcune vie d’uscita, come la volontà di puntare sul turismo o sulla logistica.
La questione immigrazione
Monsignor Prastaro ha anche toccato il tema dell’immigrazione, a lui molto caro considerati i tredici anni trascorsi come sacerdote missionario in Kenya. Tanto da affermare che uno dei momenti più significativi dei primi 100 giorni di episcopato è stata la messa di Natale dedicata ai migranti che risiedono all’hub della Croce Rossa a Castello d’Annone.
«Asti – ha ricordato – ha optato per un’accoglienza diffusa, con pochi migranti ospitati in piccole comunità per consentire un modello di integrazione migliore. Ora, però, tutto questo rischia di sgretolarsi sotto il peso della decisioni del Governo. Il decreto sicurezza, infatti, mi colpisce e mi indigna. Basterebbe accettare i migranti in quanto esseri umani per interrompere una catena di sfruttamento che parte dal colonialismo, passa per la mercificazione della disperazione (anche attraverso soggetti che ne hanno fatto un business) e arriva fino alla politica che strumentalizza la questione a scopi elettorali».
«Certamente è un problema complesso e difficile da risolvere, ma se non si agisce con un minimo di solidarietà si sbaglia. In base alla mia piccola esperienza di missionario, posso solo aggiungere che l’integrazione passa attraverso la conoscenza della lingua, che è fondamentale, e misure che non abituino le persone alla dipendenza economica».
La vita vera della Chiesa
A chiusura dell’incontro Prastaro ha rivolto un invito ai giornalisti presenti: quello di raccontare la vita vera della Chiesa, quella dei fedeli che vivono la fede con convinzione e sincerità, quotidianamente, con opere di carità e iniziative di vario genere.
«Quella Chiesa vera – ha concluso – che sta in mezzo a due estremi: la vicenda dei preti pedofili, di cui mi vergogno profondamente come uomo di Chiesa e per la quale non ci sono scuse; e il Santo Padre, per il quale ringrazio Dio ogni giorno».